Le distorsioni cognitive sui mercati

“Il comportamento del nostro investitore tipo appare fortemente viziato da alcuni errori cognitivi che lo portano ad effettuare operazioni di trading poco accorte e quindi a generare rendimenti inferiori alla media”, questo il risultato esposto da Roberto Araldi in “L’influenza delle distorsioni cognitive sull’andamento dei mercati borsistici” pubblicato da Giappichelli Editore.

Nella prima parte il libro spiega, in maniera sintetica, sebbene molto curata, l’evoluzione delle principali teorie finanziarie a partire dal dopoguerra ad oggi; “la finanza moderna può essere definita come quell’insieme di conoscenze costruito sui pilastri dei teoremi di Modigliani e Miller, la teoria delle scelte di portafoglio di Markowitz, il capial asset pricing model di Sharpe, Black e Lintner, l’option-pricing theory di Black, Scholes e Merton”, a cui bisogna aggiungere, “per avere una visione completa, l’arbitrage pricing theory e l’ipotesi di aspettative razionali, la teoria dell’utilità attesa e l’ipotesi dei mercati efficienti”. Soltanto nella seconda metà del XX secolo si hanno i contributi fondamentali che costituiscono la finanza moderna, “in precedenza le idee riguardanti il funzionamento dei mercati finanziari erano intuitive e formulate per lo più da professionisti”.

L’incapacità di spiegare il funzionamento dei mercati finanziari e delle scelte degli investitori ha portato negli ultimi anni “a rivedere vari aspetti della scienza economica secondo una nuova ottica, in cui il fattore psicologico degli operatori ha un ruolo nuovo e molto più importante”. In quest’ottica osserviamo la crescente affermazione della finanza comportamentale che in sintesi “può essere definitiva come la scienza che studia il funzionamento dei mercati e il comportamento degli operatori utilizzando conoscenze e strumenti propri delle scienze umane, per avere una visione il più realistica possibile del complesso mondo finanziario”; la finanza comportamentale “contiene maggiore novità nel metodo di studio piuttosto che nel contenuto”.

Il primo “lavoro importante sul tema è l’opera di H. Simon A Behavioral Model of Rational Choice del 1955, sul modello comportamentale di scelta razionale, ma il vero grande precursore della materia è lo psicologo P. Slovic”. Di economia comportamentale, si può già parlare durante il periodo neoclassico grazie alla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, tuttavia “lo sviluppo del concetto di homo economics, sempre razionale ed improntato all’efficienza”, non permise un seguito alle teorie espresse da Smith.

Nella seconda parte del libro che tratta più propriamente la finanza comportamentale vengono riportati e spiegati con degli esempi i più comuni errori commessi dagli investitori quali eccessivo ottimismo (“la tendenza a sottostimare le probabilità personali di incorrere in una situazione negativa rispetto alla media delle altre persone”), overconfidence (“sovra stima delle proprie capacità”), pregiudizio di conferma (“la tendenza della mente umana a seguire istintivamente e a prendere per buone le ipotesi che confermano il proprio modo di sentire e pensare”), illusione di controllo (“le persone si comportano come se il loro personale coinvolgimento possa influenzare i risultati di un evento, pur essendo questo non legato alla volontà del soggetto”), paura del rimpianto (“la tendenza a sentirsi più afflitti per una scelta sbagliata dell’errore effettivamente prodotto in seguito a tale scelta”), loss avversion (preferenza per scelte irrazionali che non massimizzano il valore atteso di un investimento), disposition affect (“la tendenza a tenere troppo a lungo le azioni perdenti e a vendere quelle vincenti”), conservatorismo (“la tendenza a mantenere le proprie convinzioni o a cambiarle lentamente, anche di fronte all’evidenza del contrario”), ed avversione per l’ambiguità (“gli individui preferiscono affrontare rischi conosciuti piuttosto che sconosciuti”).

Gli psicologi hanno ripetutamente dimostrato che riconoscere gli errori non implica un cambiamento automatico nei comportamenti. “Purtroppo in ambito finanziario spesso, tra il momento in cui le decisioni vengono prese e quello in cui se ne conoscono gli esiti trascorrono intervalli temporali piuttosto lunghi”, questo porta ad una maggiore difficoltà nell’analisi del comportamento intrapreso e nella correzione degli errori.

 

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