Quanto può durare la crisi dei mercati?

I mercati finanziari come molte attività connesse alla sfera umana, alla natura, allo stesso cosmo sono legati a fenomeni che si alternano a intervalli più o meno regolari. Giovanbattista Vico affermava che in natura il concetto di ciclicità è evidente: la luna, il sole, le stagioni, le maree, si ripetono da miliardi di anni e sempre con lo stesso ritmo che si può affermare costante. Se si volesse disquisire sulla ciclicità degli eventi, si potrebbe obiettare se questa esista davvero o non sia solo il bisogno dell’uomo di voler controllare ogni cosa e di ridurre tutto alla ragione.

Le fluttuazioni economiche sono caratterizzate dall’alternarsi di fasi di espansione e recessione. Infatti a un periodo di espansione dell’economia si alterna sempre un periodo di minore crescita o di depressione e viceversa, in modo che la dinamica appena descritta sia tipo oscillatorio attorno a un valore definito medio. A un ciclo solitamente è associato un trend, che caratterizza la fase in questione per un determinato periodo di tempo. I mercati finanziari, catalizzatori di emozioni umane come la paura, la rabbia, l’avidità, costituiscono un esempio della ciclicità dei prezzi degli asset azionari. Infatti quando la domanda per un determinato titolo prevale sull’offerta, allora il prezzo di quel asset intraprende un trend costantemente al rialzo (mercato bull); mentre in altri momenti in cui la pressione delle vendite si impone sugli acquisti, allora i prezzi delle attività finanziarie sono destinati a seguire un andamento decrescente (mercato bear). Esistono, poi situazioni estreme, che sfuggono al controllo della razionalità umana.

L’euforia e il panico in Borsa sono espressioni di un’eccessiva irrazionalità da parte dell’intero sistema finanziario. I mercati finanziari sono come elastici, più li tiri, più accumulano energia al loro interno, che verrà prima o poi dispersa violentemente all’intero sistema, con la conseguenza che milioni di investitori, nei momenti di forti cadute dei mercati, come sta avvenendo in questi giorni dall’ottobre del 2008, perdono la testa e allo stesso tempo anche tantissimi soldi. Mentre gli operatori che hanno imparato dalla storia dei mercati finanziari e usano la razionalità, lasciando da parte l’emotività, possono ottenere guadagni mentre il mercato è in panne.

Può sembrare una banalità, ma molte volte si è portati a pensare che una determinata tendenza al rialzo oppure al ribasso possa perdurare per un tempo relativamente lungo, anzi quasi all’infinito. Ma, si sa, il mercato non è fatto solo di rialzi. Infatti quando il panico prende il sopravvento sulla razionalità degli operatori, allora in maniera irrazionale si pensa che tutto il mercato continuerà a crollare per mesi se non per anni. La storia è piena di insegnamenti ma i mercati finanziari piegano l’ignoranza e l’avidità. I mercati sono ciclici ed è proprio nella loro ciclicità temporale, che si può capire il loro comportamento e allo stesso tempo nella loro dinamicità storica, si possono avanzare ipotesi sulle loro dinamiche future. Di sicuro non c’è niente, le previsioni certe vengono fatte dai maghi, mentre noi ci basiamo sulla storia e soprattutto sulla statistica.

E comunque non si possono fare previsioni attendibili, valutando una sola serie di dati, ma delle valutazioni serie e attendibili si possono costruire solo dopo aver verificato una molteplicità di fattori e di dati. Solo dall’interpolazione di questi fattori, è possibile formulare, in termini probabilistici, una serie di scenari futuri. Ora, qualcuno potrebbe chiedersi se i mercati finanziari hanno una rappresentatività ciclica. Ma allora i prezzi che si manifestano nei mercati non seguono un andamento casuale, come invece sostiene la Random Walk Theory? Facciamo un piccolo passo indietro e spieghiamo brevemente la suddetta teoria. La Random Walk Theory sostiene che l’evoluzione dei prezzi non sia prevedibile e che non vi sia modo di trarre vantaggio dalla divulgazione delle informazioni perché i mercati le incorporano troppo velocemente diventando sempre più efficienti.

La RWT identifica nel prezzo noto in un dato momento il limite ultimo della conoscenza degli operatori, al di là del quale è impossibile fare previsioni e l’unica stra tegia che consigliano e il “buy & hold”. L’autore in questione ha una sua idea, condivisibile o meno, in merito al movimento dei prezzi nei mercati finanziari. Il prezzo che si forma nei mercati finanziari non è spiegabile da una sola teoria, da un’unica formula che circoscriva il tutto al puro caso. Tutto ciò potrebbe andare bene per l’interpretazione di un fenomeno fisico, ma la realtà dei mercati finanziari è molto più complessa. I mercati azionari sono in primis costituiti da essere umani, che interagendo tra loro, determinano il consenso o meno sul prezzo delle azioni. Questa interazione tra gli uomini muove il mercato prima verso l’una e poi verso l’altra direzione, in una successione ricorrente e ripetitiva.

I prezzi delle azioni non seguono un andamento di tipo browiano, cioè non sono indipendenti dalle variazioni precedenti, non hanno un andamento casuale, non seguano una distribuzione di tipo gaussiana ma l’andamento dei prezzi su un mercato finanziario è dato dall’interazione di milioni di operatori, i quali operano (vivono in gruppo) in condizione di incertezza, di razionalità limitata e anche di visione limitata del futuro. L’interazione dei partecipanti al mercato è funzione di uno scopo comune (fine egoistico), ossia il guadagno, ma per raggiungere tale obiettivo comune, ognuno ha bisogno degli altri (fine collaborativo). Ma ciascun partecipante al mercato è solo, e cercherà nella sua individualità di battere gli altri partecipanti (fine competivo).

Questa interazione fra fini egoistici e modalità di collaborazione fra i partecipanti determina le regole del mercato. L’interazione fra i partecipanti con le loro paure, incertezze, avidità determina delle configurazioni (definite patterns) di tipo sociale (consenso verso una direzione o dissenso) che si esprime poi come configurazioni visibili dell’attività sociale dei partecipanti. Ma torniamo alla storia dei mercati finanziari. Che cosa ci ha lasciato? Ma soprattutto, che cosa ci ha insegnato? È possibile formulare ipotesi o previsioni future mentre in questo momento sui mercati finanziari corrono l’incertezza e la paura? La risposta non è così semplice e non si può generalizzare, confrontando semplicemente tra loro le crisi passate, per poi formulare delle previsioni. Il passato è passato, non torna più, ma comunque a noi, studiosi del passato, rimangono la storia dei comportamenti economici degli individui, quelli invece sono sempre simili, indipendentemente dal contesto storico, politico, economico e sociale.

A livello macro l’agire economico degli individui non è solo funzione delle proprie motivazioni interne ma anche degli input provenienti dall’esterno, ossia prendiamo decisioni anche in relazione a quel mondo che è fuori da noi, che non possiamo controllare. La pressione dei mass media, delle credenze, della paure, delle incertezze, ci portano a fare quello che singolarmente n o n avremm o nemmeno pensato di fare. In particolare, in condizioni di incertezza, se il singolo individuo è indeciso a prendere una determinata decisione, ma il gruppo preso come riferimento ha intrapreso una certa direzione, molto probabilmente, l’individuo in questione seguirà il gruppo (istinto del gregge). Questo significa che l’uomo sotto la spinta di un evento destabilizzante si comporterà sempre allo stesso modo, facendo quasi sempre gli stessi errori, ossia secondo un rapporto causa ed effetto.

Se avessimo modo di poter guardare come in un film il comportamento degli individui durante le fasi critiche, positive o negative, di un mercato finanziario, ci accorgeremo, che il loro modus agendi rimane immutabile nel corso dei decenni se non nei secoli. Ma, comunque, ciò che è successo nel passato, non è detto che nel futuro, si debba ripetere con la stessa entità e frequenza e periodicità. In linea di massima possiamo dire che se la crisi trova origine da uno shock esterno ai mercati, esempio le guerre, condizioni climatiche estreme, attentati, allora probabilmente il sistema stesso riuscirà ad assorbire l’eccesso negativo in un tempo considerevolmente breve e lo shock in questione, se lo si guarda a posteriori, sembrerà un evento di breve entità.

Basta pensare alla crisi russa dell’estate del 1998, quando la Russia svalutò il rublo e richiese una moratoria per i suoi debiti, e gli operatori si indirizzarono all’unisono verso asset di qualità, scatenando in questo modo una crisi dei mercati azionati, che provocò pesanti cadute alle borse e il fallimento del famoso hedge fund Lctm. Se si esamina attentamente la tabella in basso, si può notare come lo S&P 500 (indice che abbiamo preso come punto di riferimento per le nostre statistiche) dal 17 di luglio del 1998 (massimo 1.186 punti) al 31 agosto dello stesso anno (minimo a 957) lasciò sul terreno il 19,3%. Dal minimo 957 punti, l’indice americano impiegò 2,6 mesi per riportarsi ai livelli del 17 luglio. Mentre il tempo necessario totale per lo S&P 500 per tornare dal massimo del 17 luglio a un uguale livello fu di 4,3 mesi. Una crisi quella del agosto del 1998 di breve durata ma che comunque che provocò in poco tempo una caduta generale dei mercati azionari di tutto il mondo.

Prendiamo un altro caso di shock dei mercati azionari ma l’evento in questione questa volta è esterno ai mercati stessi, una guerra, la quale porta instabilità e grande incertezza futura sia sui mercati azionari sia sull’andamento dell’ economia. Nella guerra del golfo che scoppiò nell’agosto del 1990 , il mercato dal suo massimo (16 luglio, l’indice S&P 500 valeva 368,95) indietreggiò del 19,9% (come nella crisi russa del 1998) . Tale crisi durò poco meno di tre mesi e il mercato dal suo minimo (11 ottobre 1990) recuperò il terreno perso nel giro di 4 mesi, mentre ci vollero 7 mesi tra un massimo e l’altro. Se invece si prende in esame la grande crisi, cioè quella del 1929, si evince che l’indice S&P 500 perse in 34,5 mesi dal suo massimo (31,83 punti) l’86%, mentre ci vollero la bellezza di 304 mesi per tornare ai massimi del 6 settembre del 1929 quando l’indice valeva 31,83.

Nel nostro studio sul mercato azionario americano, rappresentato dall’indice Standard & Poor’s 500, abbiamo suddiviso 80 anni di storia in due grandi tendenze, quella caratterizzata da una persistenza al ribasso del mercato (mercato orso) e quella in cui la dinamica dei prezzi trova un significativo rialzo. In questi quasi 80 anni (dal 1929 fino ad oggi) di storia del mercato americano, si sono alternate 16 fasi di mercato orso e 16 di quelle toro. Dalle nostre statistiche si evidenzia che la durata dei bear market ha una media di 14,8 mesi, mentre se non si considera il 1929, la durata media scende a 13,5 mesi. Questo significa che un mercato bear dura mediamente più di un anno con discese del mercato del 35% (se non si considera il 1929, 31,6%).

Come si può notare dalla tabella, la durata più lunga di un mercato orso e la rispettiva discesa, è quella rappresentata dal grande crollo del 29. Ma possiamo dire, che eventi di quella di portata sia in termini di durata e di discesa, difficilmente a livello sistemico (quindi di mercato, non di singolo titolo) si possano riprodurre. Mentre le fasi bull durano di più di quelle orso. Infatti i mercati toro hanno una durata media di 44, 4 mesi, quasi 4 anni (mentre se si esclude il 1929, la durata scende a 43,6). In termini di rivalutazione, durante il mercato toro, l’indice S&P ha guadagnato in media il 126,5% (se si esclude il 1929, 113%). Il mercato, quindi arretra mediamente del 35%, per poi rivalutarsi del 126%.

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