Il Giappone ha perso il decennio 1991-2000 perché il sostegno monetario e di bilancio è stato troppo a lungo esitante ed i bilanci delle banche, provati dallo scoppio della bolla immobiliare nell’arcipelago, si sono mantenuti per troppo tempo ad un livello sufficiente per sopravvivere, ma insufficiente per dare un forte impulso al rilancio.
Per quanto illuminante, questa analogia ha comunque i suoi limiti. Il Giappone ha certamente subito un rallentamento duraturo della crescita, ma il suo modello economico vi si è adattato. Riducendo il ritmo dei consumi, i cittadini hanno aumentato in misura massiccia il tasso di risparmio, permettendo al governo di finanziare un debito pubblico colossale.
Al contempo, gli esportatori nipponici, già molto reattivi, hanno saputo cogliere le opportunità offerte loro dal resto del mondo (soprattutto Stati Uniti ed Europa), non colpito dagli stessi problemi del Giappone. Il modello europeo di oggi è alquanto differente: la maggior parte dei grandi paesi ha bisogno della fiducia dei finanziatori internazionali per assorbire il debito pubblico e gli Stati Uniti (e la Germania) non possono svolgere il ruolo di potenti locomotive delle esportazioni europee. Di conseguenza, nello stato attuale uno scenario “alla giapponese” non è applicabile alla situazione europea. L’eurozona dovrà trovare le proprie soluzioni”.