Un’agenda tra rigore e ripresa

La sola cosa certa, al momento, è che tutti tireranno la giacchetta del nuovo presidente del Consiglio per inserire questo o quel provvedimento nell’agenda dei lavori e degli impegni. Di contro, qualcuno – le solite lobby – si darà da fare per il contrario, per espungere dalla nota degli interventi questa o quella categoria o situazione. È il caso dei sindaci, che con un paginone di pubblicità dell’ordine dei commercialisti sembrano aver almeno circoscritto gli effetti della limitazione dell’obbligo delle società di dotarsi di un collegio sindacale. Cose normali che succedono in questi frangenti. Proprio gli ordini professionali e anche gli albi, i collegi e le altre forme di corporazione variamente denominate sembrano destinati a subire un’incisiva riforma che molti considerano una liberalizzazione. Nel cosiddetto maxi emendamento alla legge di stabilità già si accenna a qualcosa, come le società tra professionisti e altri aspetti di esercizio della professione. Su questo punto, senza alzare troppo la voce, il nuovo governo – ma in realtà è un provvedimento del ministro dell’Economia – dovrebbe ricordarsi di un albo e di un organismo professionale che aspetta da anni (almeno tre) di essere varato. Non è certo il provvedimento più urgente, né risolverà la crisi, ma avrà comunque un effetto positivo.

Ci riferiamo all’albo e all’organismo dei consulenti finanziari, oggetto di più di una proroga e ancora in itinere, benché alcuni regolamenti e documenti di consultazione siano già stati emanati. Forse non creerà molti nuovi posti di lavoro, ma almeno avrà l’effetto di portare alla luce del sole una categoria che esiste e che opera da tempo, ma nell’incertezza e soprattutto nella mancanza della pubblicità che un albo sempre dà ai professionisti. Il professor Mario Monti ha affermato che la ripresa non verrà da un aumento della spesa ma, al contrario, da un taglio dei costi. Il motivo per cui l’albo dei consulenti non sarebbe ancora entrato in funzione sarebbe proprio il suo costo. Più esplicitamente, il numero di iscritti e i loro contributi non sarebbero sufficienti a tenere in piedi la struttura. Se così fosse, sarebbe quasi un flop, perché vorrebbe dire che il mercato non chiede e non offre il servizio di consulenza e quindi tutta l’impalcatura messa in piedi dalla direttiva Mifid in giù sarebbe inutile.

Cosa difficile da credere, se solo si pensa che nel Regno Unito le imprese di consulenza societarie o individuali sono oltre 32mila e lavorano a pieno regime. Sorge il sospetto che le motivazioni siano altre. Invece l’occasione potrebbe essere sfruttata per dimostrare che si possono fare anche in Italia entità parapubbliche senza scialare e con buoni risultati. Basterebbe lasciare il tutto in mano agli stessi consulenti, che essendo esperti di finanza dovrebbero uscire dall’inghippo con onore. Un altro punto dovrebbe essere chiarito, prima di generare confusione. Il maxi emendamento alla legge di stabilità prevede le società di professionisti. Non è ben chiaro a quali professionisti sia rivolta. Sembrerebbe solo a coloro che risultano iscritti negli ordini amministrati dal ministero della giustizia. Non sarebbe male prevedere la possibilità di costituire società professionali anche con iscritti ad altri albi, naturalmente tenendo ben ferme le responsabilità personali di ognuno ed evitando i conflitti d’interesse (che vuol dire vietare le società tra promotori e consulenti). Non dovrebbe però essere impedito ai consulenti di entrare in società con avvocati, commercialisti e altri professionisti esercenti attività in campo economico. Ma anche gli stessi consulenti dovrebbero potersi associare tra loro per gestire meglio le spese comuni o per specializzarsi in settori e attività diversi o complementari. D’altronde, se già esistono le società di consulenza che non sono sim, a che pro non consentire le società tra consulenti?

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