C’è da aggiustare il Paese

Con l’uscita di scena di Berlusconi finisce, probabilmente, l’epoca di due poli contrapposti. Il Paese è stanco e prostrato da continue lotte tra destra e sinistra spesso più ideologiche che concrete. Come ha detto Mario Monti a Berlino, “c’è un lavoro enorme da fare: bisogna fare le riforme, sconfiggere i privilegi e le rendite che si annidano in ogni segmento della società”. Parole emblematiche, dense di significato, che danno il segno di intenzioni concrete, positive, su cui i mercati ripongono fiducia.

Le cifre che riecheggiano nei telegiornali, annunciando che spetta all’Italia il record degli inattivi, con 2 milioni e 700mila persone che vorrebbero lavorare ma che non cercano più il lavoro, sono una cosa nota, vissuta, purtroppo, quotidianamente, in ogni famiglia allargata. Senza contare che solo un licenziato su quattro ritrova un impiego nel giro di un anno. È da questi angosciosi aspetti, sperimentati sulla propria pelle dalla “gente comune”, che si capisce che non c’è crescita dell’economia, che uno Stato troppo indebitato può fare poco, o niente, per loro. Non importa ricordare né i moniti di Bruxelles né quelli della Banca centrale europea.

Come non importa ricordare che l’inflazione aumenta e che i salari e le pensioni sono misere e, per di più, indecorosamente erose da un fisco famelico, mentre l’evasione fiscale non arretra, mantenendosi sempre intorno ai 140 miliardi di euro annui, più del 17% del prodotto interno lordo. In tutti i sondaggi forniti dagli organi di informazione campeggia, in primo piano, la questione dei giovani e del lavoro. È su questi temi che bisogna impegnarsi da subito, perché non è giusto che intere generazioni siano costrette a sprecare, indipendentemente dalla loro volontà, il periodo più bello della loro vita: la gioventù.

Non è una sconfitta della politica se, con le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si darà vita a un esecutivo del presidente a guida di Mario Monti, autorevole commissario europeo prima per il secondo governo Berlusconi poi per il secondo governo Prodi, nominato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano senatore a vita. Il governo di centrodestra prima si è sfaldato fetta a fetta poi non ha ottenuto la maggioranza dei voti alla Camera dei deputati non tanto per l’azione della politica quanto sotto l’infuriare del martellamento dei mercati. Ma purtroppo in politica non vale l’aforisma di Oscar Wilde: “il passato ha un unico merito: quello di essere passato”.

Solo se si continua a guardare indietro, la politica, quella con la P maiuscola, non tornerà sul campo. Invece, contrariamente a quanto pensano i nostalgici degli schieramenti contrapposti, sarà proprio la politica che dovrà, in Parlamento, svolgere la sua funzione primaria, essenziale, di composizione degli interessi, discutendo e approvando le proposte riformatrici del governo Monti. Per poi tornare a primeggiare. Ma prima c’è da aggiustare il Paese.

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