Tutti fuggono ma c’è chi dice sia il momento di acquistare. Davvero?

La crisi del debito sovrano, che finalmente anche le autorità europee sembrano aver iniziato a capire, è di natura sistemica e continua a incidere sull’andamento del settore del risparmio gestito, non solo in Italia. Secondo i dati Lipper (società analitica del gruppo Reuters), a ottobre negli Stati Uniti per il II mese consecutivo nonostante buone performance ottenute dai fondi azionari, gli investitori hanno richiesto rimborsi netti per 20,2 miliardi dollari al settore dei fondi comuni. La raccolta netta che ha premiato i fondi obbligazionari (+11,3 miliardi dollari) non è infatti stata sufficienti a compensare i 10,9 miliardi di riscatti netti dei fondi azionari e i 20,5 miliardi di riscatti netti dei fondi bilanciati e monetari.

Se gli Stati Uniti piangono, l’Europa, al centro della crisi, non ride di sicuro: i dati di Efama già ricordati su Bluerating hanno mostrato un deflusso netto pari a 48,5 miliardi di euro a settembre per i fondi armonizzati Ucitis, più che doppi rispetto al rosso da 20,3 miliardi di agosto e in ottobre potrebbe essere andata ancora peggio. “È sempre la solita storia”, si sfoga un lettore di BLUERATING che sostiene: “la storia dimostra che chi agisce in senso contrario alla massa fa sempre ottime performance. Ora è il momento di acquistare, invece tutti fuggono”. Il problema è che in questi casi alcuni investitori istituzionali sono obbligati a disinvestire, essendo venuta meno la fiducia dei mercati nei confronti di alcuni emittenti ed essendosi attivati così meccanismi di riallocazione dei portafogli a lungo termine. Chi ha investito in titoli di stato greci ha scoperto che per quanto attraenti anche tassi di molto superiori al 7% annuo non garantiscono affatto un buon affare, neppure dopo il varo di importanti piani di aiuto, tant’è che oggi deve scegliere tra accettare “volontariamente” una decurtazione del 50% del proprio capitale investito come proposto dal Tesoro greco o cedere i titoli sul mercato con perdite persino superiori. Così quando a tremare sono Paesi come l’Italia o la Francia la reazione è immediata e univoca: vendere.

Anche perché il quadro macroeconomico non si presenta incoraggiante a breve, almeno in Occidente, mentre le ultime trimestrali (si pensi a UniCredit o a Finmeccanica) hanno fatto emergere pesanti svalutazioni e abbattimenti di valore, facendo nascere qualche sospetto circa la reale consistenza degli attivi di molte banche e imprese quotate (e facendo così aumentare nuovamente il rischio di ulteriori downgrade). Insomma: acquistare quando le quotazioni sono basse in valore assoluto o anche solo in termini di multipli di borsa ha senso e può portare a buone performance a patto che vi sia fiducia nelle possibilità del debitore di crescere e ripagare il debito (ovvero nel caso di un investimento azionario crescere con buoni margini di profitto). Altrimenti è un azzardo, più o meno elevato a seconda dello strumento e del mercato a cui si guarda. Così forse il nostro lettore ha ragione ed è il momento di acquistare, ma non tutto e non di corsa, perché l’incertezza regna ancora sovrana e occorrerà valutare attentamente e quasi giorno per giorno l’evolversi dello scenario. Un quadro ideale per chi fa trading, forse, meno per chi si affida a strumenti come fondi e gestioni, per quanto ben gestiti possano essere.

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