Euro o non euro? Questo è il problema

La moneta unica europea è ormai argomento di discussione oltre che sui desk operativi e nelle sedi “appropriate” anche nei bar, dal gommista, dal fioraio, dappertutto insomma. Questo è chiaramente il risultato finale del processo mediatico che si è verificato negli ultimi mesi, comunicazioni su larga scala che si sono andate ad intensificare da agosto in avanti e che hanno, in buona sostanza, diffuso una sorta di incertezza e di paura in tutta la popolazione, che ora quando ci vede passare per strada, ci chiede se e quando si tornerà alla lira e quali potrebbero essere le conseguenze di un’uscita dall’euro. Domande che possono raccogliere le risposte più disparate accompagnate da motivazioni più o meno valide, la sostanza rimane che per ora la moneta unica c’è e noi dobbiamo essere in grado di conviverci, in attesa di conoscere elementi più certi in grado di farci propendere per uno scenario piuttosto che per un altro (attualmente a livello probabilistico, quelli più probabili praticamente si equivalgono).

Certo è che, e lo diciamo dal lontano 2005 (c’è anche chi ha definito l’euro un paradosso già nel 1999), che la moneta unica è nata male, e gli euroscettici come noi, aumentati di numero proprio negli ultimi mesi, ne converranno con noi. Il fatto distorsivo principale risiede nella non omogeneità delle politiche fiscali in primis, seguite dalle diversità a livello di struttura dell’industria di ogni Paese e da tanti altri fattori di disomogeneità che dovrebbero essere sistemati affinchè la moneta unica possa continuare ad esistere, mentre gli effetti si stanno vedendo soprattutto sui mercati obbligazionari, e questo è chiaro indice di come i mercati stiano andando (o meglio, sono già andati e stanno continuando a farlo) a punire i singoli Paesi appartenenti all’area euro per colpe relative a quello che succede all’interno dei propri confini, che poi hanno ripercussioni anche sull’intera Europa. Ed è proprio sull’ultima mezza frase che dobbiamo ragionare, quella che parla di ripercussioni sull’Europa. Già, perché se non ci fosse la moneta unica, i diversi problemi degli Stati verrebbero definiti e percepiti in maniera diversa, ma dal momento che l’euro accomuna tutte queste economie diverse tra loro, le ripercussioni non possono che essere considerate a livello europeo.

Il fatto che i mercati non siano andati a prendere di mira la valuta euro in generale, vendendola a causa dei problemi che affliggono i diversi Stati, ma si siano concentrati, come accennato, soprattutto sui mercati obbligazionari, ci fa comprendere in maniera chiara che si è andati a sfruttare un’altra grandissima inefficienza del sistema euro (pensato come quello attuale) per veicolare i flussi di investimento anziché concentrarsi sulla moneta di riferimento di quell’unione economica e monetaria (chiara evidenza del fatto che non si riesce ancora, dopo più di dieci anni, ad associare in maniera naturale l’idea di unità completa all’Europa – a differenza, giusto per dare un’idea, della percezione che si ha per gli Stati Uniti ed il dollaro americano). L’inefficienza di cui parliamo è da ricondurre al fatto che, Paesi che utilizzano la stessa moneta e che hanno gli stessi tassi di interesse di riferimento per il sistema interbancario, presentano differenze sul lato del costo del debito, potendo emettere bond nazionali che offrono rendimenti diversi in base ai premi al rischio richiesti dagli investitori. Ed ecco qui il patatrac.

Passiamo però ora alla sezione tecnica incominciando dall’eurodollaro che ha mostrato qualcosa di inatteso ieri. Per la prima volta da un mese abbiamo assistito alla rottura della trendline ribassista, passante a 1.34, e ad una piccola esplosione di volatilità. Purtroppo questo non è bastato a far cambiare direzione alla moneta unica che a distanza di qualche minuto si è trovata nuovamente a compiere un percorso ribassista e rientrare nel trend primario. Questo movimento ha fornito lo spunto  necessario ai prezzi per andare addirittura a confermare la tenuta delle trendline di supporto di breve, che trova la resistenza per oggi nei pressi di 1.33 figura. Un grafico orario presenta ora una conformazione abbastanza riconoscibile, una bandiera (o flag): una volta che dovesse essere oltrepassato il supporto appena visto, si aprirebbe la strada ad un nuovo ribasso dell’eurodollaro che trova il suo naturale obiettivo sul minimo di 1.3145. Questo livello è il minimo di riferimento precedente (del 4 ottobre scorso) nonché l’area ottenuta proiettano l’ampiezza della flag a seguito dell’eventuale rottura.

Il cambio UsdJpy si trova su livelli visti ieri mattina, avendo compiuto nel frattempo un minimo di movimento (40 pip di range). Per le prossime evoluzioni consideriamo importante il livello di supporto dinamico indicato dalla trendline rialzista in atto da una settimana e passante per le prossime ore presso 77.50. Abbiamo visto come 78.20 sia risultato un livello duro da oltrepassare nei due giorni passati, per cui rappresenta la prima resistenza. Il cambio EurJpy viene scambiato, nelle ultime due settimane, fra 102.60 e 104.30. La nostra idea di una resistenza molto importate è stata verificata ancora ieri mattina. Ora il livello di 104.30 risulta rafforzato dal transito della media mobile a 100 periodi consegnandoci così un chiaro livello di breakout. Per la giornata, prima di trovare il supporto a 102.60, possiamo vedere come 103.40 si sia dimostrato un supporto affidabile ieri in due occasioni distinte.

Il cable si trova ad un livello lievemente superiore rispetto all’eurodollaro. In questo caso infatti la linea di supporto, nonché cambio di direzione nel breve, si trova a circa una figura di distanza, 1.55. 1.5680, invece, è il livello di resistenza indicato dalla prima delle percentuali di ritracciamento di Fibonacci del movimento in calo compreso fra 1.6090 e 1.5425 (livello confermato inoltre dalla coincidenza di un minimo ed un massimo del 17 e 22 novembre scorso). Il cambio UsdChf è entrato all’interno di un movimento particolarmente laterale compreso fra 0.9240 e 0.9180. Per un’inversione più duratura si potrebbe osservare l’eventuale rottura a ribasso della media di lungo, compiuta dai prezzi. Concludiamo con il dollaro australiano, che contro il biglietto verde è riuscito ieri a stazionare al di sopra del livello di parità Per almeno tre volte siamo giunti nei pressi di 1.0070 (livello dove transita la media a 200 periodi) prima di vedere un nuovo calo sotto l’1.0000. Nel breve si è creato un supporto, 0.9965, che potrebbe aiutarci ad intuire le intenzioni della giornata.

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