Usare i Bot come nuova moneta

Tra le varie misure del nuovo governo, nei giorni scorsi si è parlato anche del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese mediante titoli di Stato. L’idea non è nuova. Sul finire degli anni ‘70, si sterilizzarono gli effetti dell’indennità di contingenza distribuendo ai lavoratori dipendenti speciali titoli di Stato al portatore, ma non negoziabili. Nacque così una specie di mercato “rionale” di questi titoli negli uffici delle aziende con costi e rendimenti veramente interessanti, ancor più di quelli odierni, perché si trattava di un mercato completamente opaco.

Da ricordare che allora i titoli erano cartacei e furono materialmente consegnati ai lavoratori. Neppure oggi sarebbe un’idea balzana, benché motivata da un gravissimo stato di necessità e in qualche modo non libera. Molti sarebbero gli aspetti da conoscere per valutarne l’effettiva portata: il rendimento, la durata, la negoziabilità, l’emissione di titoli ad hoc o la consegna di titoli in circolazione, eccetera. È di tutta evidenza che se si emettessero titoli ad hoc riservati all’operazione, non sarebbe altro che un succedaneo della stampa di carta moneta e subito l’Europa la bollerebbe come una furbata all’italiana, senza contare che il debito complessivo aumenterebbe ulteriormente peggiorando il nostro rating. Altrettanto ovvio che se i titoli non fossero negoziabili non risolverebbero il problema di liquidità di aziende e, di riflesso, banche: si sostituirebbe un credito commerciale con un titolo immobilizzato: il titolo di Stato diverrebbe una cambiale speciale. In tutti i casi, la sostanza dell’operazione è una dilazione della scadenza del debito. Un atto che, se riferito agli strumenti finanziari, sarebbe considerato un default.

Qui si verte nell’ambito dei crediti commerciali e la pubblica amministrazione può ritardare i pagamenti senza incorrere in default di diritto. Tornando alla proposta di pagare i debiti della pubblica amministrazione mediante titoli di Stato, questa può presentare diversi aspetti positivi e potrebbe addirittura risollevare un mercato oggi depresso. In primo luogo, dovrebbe trattarsi di titoli già in circolazione e valutati al nominale. Questo darebbe modo allo Stato o a chi per lui di sostenere i corsi dei propri titoli e fornire liquidità al mercato, che è sempre il problema dei mercati al ribasso. Lo Stato farebbe anche discrete plusvalenze acquistando i titoli al prezzo di mercato e consegnandoli a valutazione pari al nominale. Sosterrebbe pure i corsi assicurando così un indiretto beneficio al costo del debito per lo s t e s s o Stato. Il problema si porrebbe quando le aziende andassero a smobilizzare i titoli avuti in pagamento (alle aziende serve liquidità e non investimenti in strumenti finanziari). Allora il mercato s’ingolferebbe, i corsi scenderebbero e tornerebbero a salire i tassi d’interesse. Questa è la strettoia da superare.

Consentire il pagamento delle imposte e più in generale dei debiti verso gli enti pubblici con questi titoli e da parte delle imprese destinatarie dell’operazione è probabilmente insufficiente ad assorbire il quantitativo di titoli distribuito, senza contare che anche lo Stato ha bisogno di liquidità e non di immobilizzazioni finanziarie. Il problema si presenta quindi come un gatto che si morde la coda: non si riesce a chiudere un cerchio virtuoso, ma si determina solo un loop molto pericoloso. La proposta mantiene una sua validità, ma dovrebbe essere strutturata in modo da conciliare le esigenze di liquidità di tutte le parti. Forse sarebbe sufficiente consentire alle aziende di compensare i propri crediti verso gli enti pubblici con le tasse da pagare, in specie l’Iva. In alternativa si potrebbe consentire a chiunque di pagare le imposte dovute con titoli di Stato con vita residua breve (tre o sei mesi). L’effetto sul mercato sarebbe un continuo “Btp day”, quando gli italiani hanno concentrato i propri acquisti su buoni del Tesoro con scadenze a breve.

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