Oro, le banche centrali insegnano

Le banche centrali e le istituzioni internazionali ufficiali sono i maggiori possessori di oro da più di 100 anni e si prevede che la quantità detenuta nei loro asset resterà abbondante anche in futuro. Tali asset strategici vengono costantemente adeguati al mutare delle condizioni di mercato e questo processo di riequilibrio ha portato di recente a una riduzione della propria quantità di oro da parte di alcune istituzioni finanziarie centrali. Le autorità monetarie hanno confermato che il metallo prezioso resterà un asset di riserva importante per il futuro poiché il metallo giallo continuerà a ricoprire un ruolo fondamentale nella gestione delle riserve strategiche.

Un excursus storico
L’uso dell’oro come moneta corrente ha avuto inizio nel 1816 in Inghilterra, dove fu originariamente adottato il sistema del gold standard. Seguirono altri Paesi come la Germania nel 1872 e gli Stati Uniti nel 1900. Con questo sistema, le monete nazionali erano convertibili in oro a un tasso di cambio stabile fra le monete di diversi Paesi, potendo variare solo entro una parità fissa. L’oro, fondamento del primo vero e proprio sistema monetario internazionale, nel corso della prima guerra mondiale è diventato un’arma di competizione e rivalità economica tra gli Stati. L’inizio della prima guerra mondiale segnò la fine del sistema aureo e fu seguita da un periodo di grande instabilità. Nel 1925 la Gran Bretagna e nel 1927 la Francia ritornarono sostanzialmente al sistema originario. Le banche centrali abbinarono alle riserve auree alcune valute convertibili (dollari, sterline, franco francese tra questi), facendo così nascere il Gold Exchange Standard. Nel 1931, l’Inghilterra sospese la convertibilità. Nel 1934, poi, gli Usa dichiararono che i privati non potevano cambiare più i dollari in oro. Nel 1944, per iniziativa degli Stati Uniti e dell’Inghilterra i rappresentanti di 44 Paesi si riunirono a Bretton Woods, dove fu creato il Fondo monetario internazionale e venne fissato il prezzo dell’oro a 35 dollari l’oncia, quotazione a cui gli States si impegnarono ad acquistarlo da chiunque e a venderlo solo alle banche centrali.

Ogni Paese partecipante fu obbligato a versare al Fmi una quota di oro e di moneta nazionale e a dichiarare la parità tra la propria valuta e l’oro o, indirettamente, al dollaro. Negli anni Sessanta ci fu una rottura dell’equilibrio tra domanda e offerta dal momento che la grave crisi del dollaro indusse diversi operatori a forti acquisti d’oro. Questa fu la prima volta in cui l’oro assunse il ruolo di bene rifugio a fronte dell’instabilità del dollaro. Le banche centrali degli Stati Uniti d’America e dell’Europa iniziarono a coordinare le loro azioni per mantenere stabile il prezzo dell’oro contro le forze di mercato. Le circostanze economiche di quel periodo causarono però il fallimento di questi sforzi congiunti e venne introdotto un doppio regime, che lasciava il prezzo dell’oro a 35 dollari l’oncia per le transazioni valutarie internazionali, lasciandolo però libero di fluttuare negli scambi tra i privati. Questo doppio regime fu abbandonato nel 1971 dal presidente Richard Nixon, quando il prezzo dell’oro fu lasciato libero di variare in accordo alle leggi di mercato, come avviene oggi. In ogni caso, il 1968 può essere considerata la data ufficiale della nascita del mercato dell’oro: da questo momento, il prezzo veniva determinato dall’offerta e dalla domanda. Nel 1976, i Paesi aderenti al Fmi ufficialmente decisero l’abolizione del prezzo del metallo prezioso e quindi del doppio mercato dello stesso metallo. Con questo accordo, il Fmi restituì una parte delle riserve d’oro ai Paesi che l’avevano depositato e ne vendette una parte per aiutare i Paesi in via di sviluppo. In questo modo, l’oro veniva a perdere il suo ruolo di fondamento all’interno del sistema monetario internazionale.

Il sistema attuale
L’attuale sistema è basato sul dollaro (dollar standard). Nel 1979, con la nascita del sistema monetario europeo, venne stabilito che i Paesi membri dovevano versare il 20% delle loro riserve in oro e il 20% delle loro riserve in dollari in cambio di ecu. Nel settembre del 1999 nasce il primo Central bank gold agreement (Cbga), che oltre a regolare l’intero settore degli scambi di oro interbancari limita le cessioni del metallo giallo a 400 tonnellate l’anno. Accordo valido per cinque anni, rinnovabili. L’intesa ha rassicurato il mercato circa le intenzioni e le operazioni delle banche centrali, rivelandosi un grande successo. A tutt’oggi, è in vigore il quarto Cbga. L’oro oggi è confinato a un ruolo di strumento di riserva, piuttosto che essere il centro del sistema, anche se le banche centrali ritengono in ogni caso che esso rimanga un elemento di fondamentale importanza per le loro riserve a garanzia di una maggiore stabilità del sistema monetario.

Le scelte degli istituti
Le autorità monetarie continuano a detenere una quantità di oro nei loro asset, che ammonta a circa 30mila tonnellate, simile alla quantità di sessant’anni fa. Alcuni ritengono che queste scorte siano inefficienti rispetto alle valute estere. Al contrario, ci sono buoni motivi alla base del perché gli Stati insistono a tenere oro come parte delle loro riserve. La prima ragione sta nella diversificazione. Come in ogni portafoglio di attività finanziarie, raramente ha senso per avere tutte le uova nello stesso paniere. Ovviamente, il prezzo dell’oro può variare, ma così anche i tassi di cambio e d’interesse delle valute detenute nelle riserve. Una strategia di diversificazione normalmente offre un rendimento meno volatile rispetto a quello basato su una singola attività. L’oro ha ottime proprietà di diversificazione in un portafoglio ben distribuito. Ciò deriva dal fatto che il suo valore intrinseco è determinato dalla domanda e dell’offerta mondiale nei mercati dell’oro, mentre le valute e titoli di Stato dipendono sostanzialmente dalle promesse dei governi e dalle variazioni delle politiche monetarie delle banche centrali. Il prezzo dell’oro si comporta quindi in modo completamente diverso da quello dei prezzi delle valute o dei tassi di interesse.

Perché tenerlo
Le banche centrali detengono l’oro anche per una questione di sicurezza economica. L’oro è un patrimonio unico nel suo genere, nel senso che non è sottomesso a niente e a nessuno. Il suo valore intrinseco e il suo status non possono essere compromessi dall’inflazione di un Paese o da eventi imprevisti in un altro Paese. La diversificazione geografica dell’offerta fa sì che sia un bene facilmente reperibile e non sia soggetto alle imposizioni di un singolo Paese fornitore. L’oro, poi, ha mantenuto il suo valore in termini di potere d’acquisto reale nel lungo periodo e è quindi particolarmente adatto a far parte delle riserve delle banche centrali. Al contrario, le valute di carta perdono maggiormente valore nel lungo periodo e spesso anche nel breve termine. C’è poi da considerare la garanzia fisica. Alcuni Paesi hanno in passato imposto controlli sugli investimenti stranieri o, nella peggiore delle ipotesi, hanno addirittura bloccato gli asset esteri presenti nel loro Paese. Infatti gli investimenti stranieri sotto forma di titoli esteri possono essere vulnerabili a tali misure. Dove opportunamente allocato in apposite camere blindate, l’oro è molto meno vulnerabile a questo genere di problemi. È utilizzabile in qualsiasi momento grazie alla sua totale liquidabilità. Inoltre, se c’è una cosa di cui possiamo essere certi è che lo sviluppo economico sia nazionale che nel resto del mondo può essere sconvolto dalle politiche dei governi oppure da eventi anche parecchio gravi. L’oro rappresenta una forma di assicurazione contro eventi negativi: guerre, un’inaspettata ondata inflazionistica, una crisi generalizzata. In caso di emergenza, i Paesi attingono alle loro risorse liquide. L’oro è liquido ed è universalmente accettato come mezzo di pagamento molto di più delle stesse valute.

Sì o no?
La decisione di quanto oro detenere nei propri asset è una decisine che viene valutata tra i governi e le proprie banche centrali. Si valuta in base a parametri economico- finanziari che indicano lo stato di salute dell’economia propria e di quella mondiale. La media internazionale è di circa il 10,2% a prezzi correnti di mercato, ma in Europa si avvicina al 50% e negli Stati Uniti intorno al 75% delle sue riserve in oro. I Paesi in via di sviluppo che oggi iniziano a inserirsi sempre di più nel panorama finanziario mondiale con le loro economie molto volatili e con istituzioni politiche non sempre forti devono considerare di incrementare la quantità di oro nelle loro riserve per offrire maggiori garanzie di stabilità del loro sistema economico alle agenzie internazionali di rating. Nonostante tutto quanto detto, molti tra gli investitori privati sono oggi ancora molto diffidenti nei confronti del mercato dell’oro. Al momento, gli investimenti in oro sono circa lo 0,5% degli investimenti nel mondo. All’inizio degli anni ‘80, i clienti privati avevano circa il 3% dei loro capitali in oro fisico. Erano il 5% nel 1968 e addirittura il 20% a metà degli anni ‘30. Oggi siamo appena all’inizio del recupero degli investimenti in oro, che furono azzerati tra il 1980-2000, anni caratterizzati da tassi di interesse molto alti e da una forte crescita economica. L’oro è un investimento di lungo termine che serve anche a stabilizzare i portafogli nella situazione di recessione e inflazione. Perché dunque non seguire l’esempio delle banche centrali?

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