Ieri abbiamo avuto l’ennesima conferma che il mercato sta continuando a non badare a quello che succede sui tavoli di lavoro europei e non solo in quanto, dopo il disappunto scaturito dal primo summit europeo, durante il quale sono stati raggiunti accordi sui punti più importanti di discussione ma non sono state intraprese mosse concrete, si è mantenuto su livelli sostenuti, andando, in chiusura, a recuperare terreno anche sui mercati borsistici europei ed americani.
Dal meeting di ieri ci si aspettava qualcosa di più in termini di concretezza, anche se bocciare in toto la riunione non è corretto. Dal punto di vista politico sono stati raggiunti ed approvati gli accordi sul Fiscal Compact – 25 Paesi hanno firmato, mentre UK e la Repubblica Ceca non lo hanno fatto -, le dichiarazioni sulla crescita e sul mercato del lavoro – dove si indicano tre priorità di intervento, ovvero lavoro per i giovani, completamento del mercato interno ed accesso ai finanziamenti da parte delle PMI – e la partenza dell’Esm (European Stability Mechanism) che scalzerà l’Efsf e potrà prestare denaro agli Stati europei che ne dovessero necessitare fino ad un ammontare di 500 miliardi di euro (raggiunto l’accordo ma la firma del trattato è da rimandare a tempi futuri).
Si è discusso anche della Grecia, dichiarando che un accordo con i creditori privati verrà raggiunto nei prossimi giorni. Qualcosa dunque è andato in porto, ma con la solita calma (che non serve nient’altro ad acquistare tempo) che caratterizza la maggior parte (se non la completezza) delle azioni di governante e di governo europeo. I mercati, come accennato in apertura, hanno dimostrato che non si sta dando peso a queste decisioni in quanto non si discostano di una virgola da quanto ci si attendeva e nemmeno il fatto che non si siano date indicazioni precise soprattutto per quanto concerne le tempistiche di intervento è riuscito a far scendere la moneta unica europea, che contro euro, come vedremo tra poco, si è mantenuta su livelli di forza relativa importanti. Il mercato è molto volatile e si muove in maniera comunque ancora concertata, con le vendite di dollari che si susseguano quando il rischio sale e viceversa. Basta dare uno sguardo all’FXCM DJ Dollar Index per capire come il mercato sia pronto a reagire sui punti tecnici più importanti. Dal punto di vista macro oggi avremo soltanto il Pil canadese che potrà fare da leggero market mover, niente di interessante all’orizzonte.
L’ultimo appuntamento del mese con l’analisi tecnica si apre con uno sguardo al cambio eurodollaro. Abbiamo osservato ieri un’interessantissima conferma del trend in atto da due settimane esatte quando i prezzi sono giunti a toccare il supporto, sia statico che dinamico, posto a 1.3080. Questo movimento, oltre il quale i prezzi non sono scesi oltre, ha confermato quindi la validità del canale dall’ampiezza di duecento punti che dal 16 di gennaio insiste e sostiene i prezzi con una discreta inclinazione. Gli obiettivi ora, dopo la ripresa di una figura dalla seconda parte della giornata di ieri, sono tutti posizionati a rialzo con un primo 1.3230 ed un successivo 1.3260. Passati anche questi sarebbe lecito attendersi un ritorno dei prezzi verso area 1.3450.
Il cambio UsdJpy, dopo due mesi e mezzo, è riuscito ad andare a rompere il livello di supporto a 76.55, aprendo di fatto la strada per un calo sino al minimo di fine ottobre a 75.55. Intorno a quest’area di minimo storico continuano a nascondersi possibili interventi (ma anche solo commenti) delle autorità nipponiche, dato che già il 31 ottobre scorso avevano dato prova di non apprezzare il livello di minimo raggiunto portando il mercato ad un movimento di 400 pip, evidenziato dal cambio in meno di una giornata. In questo caso l’analisi sembra un po’ scontrarsi con la logica: da una parte una tendenza a ribasso e dall’altra lo spettro di un intervento imprevedibile.
Il cambio EurJpy si trova in un momento di calo che è andato ad interrompere la tendenza rialzista incominciata due settimane fa. La particolare configurazione che stanno assumendo i prezzi sembra avere tute le caratteristiche di una flag (o bandiera) rialzista. Abbiamo un trend primario, in salita appunto da 97.10 che si è avvicinato a 102.50 senza romperlo; abbiamo poi la correzione compresa in un canale ribassista dall’ampiezza di 120 pip e che indica in 99.70 il supporto e in 100.90 la resistenza per le prossime ore. Per la conferma della figura dovremmo assistere ad una rottura rialzista del trend in calo di breve.
Anche il cable ha potuto, ieri, riprendere la strada in salita, tanto che sembra per apprestarsi a rompere il livello di resistenza di 1.5730. Il supporto, sia statico che dinamico, a questa teoria a rialzo si trova nei pressi di 1.5650 mentre l’obiettivo, oltre la conferma di 1.5770, si trova una figura al di sopra, sul livello di resistenza statico (confermato da una buona dose di minimi visti a cavallo fra ottobre e novembre) di 1.5880. Il cambio EurChf non sembra arrestare il proprio, lento, cammino in direzione di 1.20. Il trend ribassista, seppur non molto votatile negli ultimi giorni, è infatti ancora indirizzato sul livello poco gradito dalla Swiss National Bank con tutto quello che ne può derivare. Siamo giunti ieri a 1.2040, che è il minimo raggiunto dai prezzi dal 15 settembre scorso. Ricordiamo che il punto di svolta rialzista si trova a 1.21, con la rottura del canale discendente che insiste da metà dicembre.
Anche il dollaro australiano ha beneficiato del momento di debolezza del biglietto verde andando a riprendere buona parte del percorso ribassista compiuto fra giovedì e ieri mattina. Come sosteniamo da giorni, la tendenza rialzo è intatta sino a che 1.0440 non dovesse essere oltrepassato a ribasso, mentre l’obiettivo finale si trova ancora posizionato a 1.0750, non raggiunto per una sessantina di pip la settimana passata. Un’analisi maggiormente nel breve periodo evidenza un ulteriore livello di supporto posizionato a 1.06 figura, molto vicino quindi ai livelli attuali di prezzo.