Una privatizzazione facile facile

Dopo le tasse, le semplificazioni, le liberalizzazioni, adesso, forse, arriverà il turno delle privatizzazioni. Ne vorremmo suggerire una piccola, facile facile, molto più di quelle grandi che vanno a toccare equilibri complicati e richiedono anni per essere portate a conclusione. Si tratta di privatizzare gli stadi, voce passiva di spesa per tutti i comuni e oggetto del desiderio delle società calcistiche. Con l’occasione sarebbe bene riformare anche il mondo dello sport per farlo partecipare alla ripresa del Paese.

Non dimentichiamo che il settore calcio (nel suo complesso) è molto importante sotto l’aspetto economico e ha le caratteristiche di una vera e propria industria. Da un lato gli enti pubblici proprietari d’impianti dovrebbero essere fortemente motivati a cederli, sotto qualunque forma. In questo modo si liberebbero di un costo e incasserebbero quattrini da destinare al pagamento dei loro debiti. Non dimentichiamo che comuni e altri enti pubblici sono gravati da debiti e spesso hanno un rating inferiore a quello della Grecia. Bene sarebbe tagliare quelli, prima di pensare a investimenti o spese correnti. Ovvio che si tratti di cedere gli impianti esistenti e non di costruirne di nuovi, altrimenti i comuni resterebbero proprietari di beni inutilizzati senza ricavi e a costi inalterati.

Le società sportive dovrebbero essere “incentivate” a comprare gli impianti. Si potrebbe stabilire che le squadre di serie A devono avere un proprio impianto in proprietà, concessione o gestione (che non è un semplice affitto). Questo richiede maggiore imprenditorialità da parte del management delle squadre (ce n’è molto bisogno) e investimenti a lungo termine. Avremmo quindi un miglioramento della qualità della gestione con ingresso in altri business (dal merchandising alla gestione alberghiera agli eventi, etc.). In questo modo le società potrebbero essere quotate in Borsa come imprese vere e proprie, con attività stabili e redditizie (si spera) e non sull’onda emotiva del tifo e dei risultati. La gestione degli impianti dovrebbe garantire un incremento dei ricavi, con beneficio di tutto il sistema. Altro elemento importante è costituito dagli investimenti necessari per l’acquisto, l’ammodernamento, l’apertura di nuove iniziative nell’impianto di proprietà.

Per fare investimenti non è sufficiente disporre degli stadi, è necessaria la stabilità e la ragionevole certezza di ricavi e di permanenza nella o nelle categorie maggiori. Questo fa parte del rischio che un vero i m p r e n d i t o r e dovrebbe assumersi. In ogni caso, per ridurre il pericolo di passaggio di categoria e di conseguenza del tracollo dei ricavi, si può pensare di ridurre il numero delle società di serie A. Oggi ne abbiamo venti con tre retrocessioni. In passato sono state anche sedici con due retrocessioni. Oggi metà delle squadre della serie maggiore è impegnata a livello europeo (campionato del futuro) e una riduzione degli impegni nazionali gioverebbe alla qualità dello spettacolo e alla salute dei giocatori. Ci sarebbe una r i d u z i o n e degli incassi connessi al numero delle partite . Questo in qualche modo dovrebbe essere ovviato; sarebbe sufficiente un piccolo taglio alle rose dei calciatori, da ridursi in proporzione al numero minore di partite.

A ogni buon conto, se le squadre fossero sedici/diciotto, ferme restando a due le retrocessioni, una maggiore stabilità sarebbe comunque raggiunta. A questa riforma si potrebbe aggiungere un incentivo per le polisportive aggregando diversi sport e impianti nella stessa società con sinergie notevoli, quali l’aumento dell’utilizzazione degli impianti, la raccolta pubblicitaria, etc. E un occhio andrebbe pure posto alle varie società sportive dilettantistiche che spesso sono state utilizzate per operazioni di rilevanza fiscale o peggio. Con una decisa riforma del settore si avrebbero un aumento dei fatturati e degli investimenti, una riduzione del debito pubblico allargato e delle aree grigie dell’evasione.

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