Genesi di una bolla. Speculativa

Nella storia dei mercati finanziari, fin da tempi non sospetti, si contano diversi periodi storici in cui si è assistito a un aumento considerevole e ingiustificato dei prezzi, originato da una domanda molto elevata, spesso repentina e limitata nel tempo: in alcuni casi si tratta di vere e proprie bolle speculative. La nascita di una bolla speculativa è attribuibile a tre fattori principali. Innovazione, speculazione e irrazionalità. Il caso senz’altro più incredibile fu quello dei tulipani nell’Olanda del 1600, la cosiddetta “Tulipomania o Bolla dei Tulipani”. I bulbi di tulipano, fiore introdotto in Europa nel secolo XVI, raggiunge in pochi mesi prezzi stratosferici: si pensi che il salario medio annuale ammontava all’epoca a 200-400 fiorini, mentre un bulbo raro costava circa 3.000 fiorini.

La mania aveva contagiato tutti: dai nobili ai commercianti, si firmavano contratti dappertutto, il commercio avveniva anche sulla prossima germogliatura o sui bulbi appena seminati. Ovviamente, nel giro di poco tempo e senza ragioni apparenti la tendenza si invertì: i prezzi dei tulipani crollarono repentinamente e altrettanto velocemente si diffuse il panico tra i possessori, con la volontà di vendere tutto al più presto. Molte altre ondate speculative si sono susseguite nei secoli successivi, da quella della Compagnia dei Mari del Sud nel 1700 alle ferrovie inglesi del 1800. In ogni caso la bolla che più di ogni altra ha lasciato un indelebile segno nella storia nell’economia è il crack di Wall Street del 1929.

Tra le altre ondate speculative con ripercussioni a livello globale, vanno sicuramente ricordate la grande bolla immobiliare giapponese degli anni Ottanta e la bolla speculativa della new economy e da ultimo, oggi, ci ritroviamo a dover gestire una nuova crisi dei mercati finanziari e in modo particolare dei settori immobiliare e finanziario dovuto all’insorgere della bolla sul credito. Perché molte persone, anche sagge, fanno errori nelle scelte relative ai loro investimenti? L’investitore oltre ad essere indeciso, a non avere abbastanza tempo da dedicare alla valutazione degli investimenti, a mancare di esperienza e di informazioni sufficienti, spesso utilizza un approccio euristico, ovvero delle scorciatoie mentali, dimenticandosi però della “ragione”. L’economia tradizionale basa le proprie teorie sul presupposto di un “investitore che opera nella perfetta razionalità”, l’uomo economico (homo oeconomicus), orientato a massimizzare il suo patrimonio totale futuro indipendentemente dalle circostanze di investimento o dalla sua attuale situazione finanziaria. Tuttavia nei mercati globali si manifestano delle situazioni poco spiegabili sotto l’ipotesi della razionalità perfetta, ovvero comportamenti degli investitori che sembrano mancare di razionalità in maniera sistematica.

Le bolle dei mercati finanziari sono un esempio di tutto questo, visto che la pretesa razionalità degli investitori vacilla. La vita reale ha dimostrato tuttavia che l’”investitore razionale”, freddo e decisionista, appartiene esclusivamente ad un mondo puramente teorico e che alla base del comportamento dell’investitore ci sono dinamiche di natura psicologica ed emotiva, tipici dell’”investitore irrazionale”. Conoscere e capire le anomalie comportamentali che influenzano l’atteggiamento e determinano gli insuccessi negli investimenti risulta un esercizio difficile. La finanza comportamentale (behavioral finance) è una nuova disciplina che si dedica allo studio del comportamento degli investitori poste di fronte a scelte di investimento in condizione di incertezza muovendo dai principi della psicologia cognitiva, e come questi influenzano il processo decisionale economico.

La finanza comportamentale pone al centro dell’attenzione il comportamento umano effettivamente osservato, in quanto diverso da quello indicato dai modelli quantitativi, come possibile causa delle anomalie dei mercati. Prendendo in dovuta considerazione l’irrazionalità sistematica degli investitori e dei mercati, si propone di costruire modelli economici più realistici capaci di integrare il ruolo delle emozioni e degli errore cognitivi. Attraverso una maggiore comprensione della psicologia dell’investitore, delle esigenze e delle necessità finanziarie, essa promette pertanto di fornire predizioni più accurate e quindi cogliere migliori opportunità di investimento. L’investimento in attività finanziarie (azioni, obbligazioni) o reali (case), espone l’investitore all’incertezza sui prezzi futuri “rischio”, ovvero alla paura di perdere denaro operando una distinzione tra rischi “positivi” e “negativi” rispetto ad un certo punto di riferimento.

Numerose ricerche hanno dimostrato che gli investitori considerano in modo asimmetrico guadagni e perdite, il che vuol dire, il dispiacere che si prova nel perdere una somma di denaro è maggiore del piacere per il guadagno della stessa somma. Queste osservazioni sono alla basa della cosiddetta “Prospect Theory” (Teoria del Prospetto), sviluppata da due psicologi “Daniel Kahneman e Amos Tversky” nel 1979. Per questo lavoro Kahneman ha ricevuto il premio nobel per l’Economia nel 2002 (il Prof. Tversky è deceduto nel 1996). Questa teoria individua quattro caratteristiche distintive del modo in cui gli investitori valutano le scelte di investimento discostandosi in maniera sistematica da quelle previste dalla teorica quantitativa violando le regole della razionalità:

  • .gli investitori valutano i risultati degli investimenti rispetto ad un dato punto di riferimento;
  • .gli investitori puntano ad evitare eventuali perdite rispetto a tale punto di riferimento;
  • .di fronte a una perdita, l’atteggiamento degli investitori nei confronti del rischio cambia radicalmente;
  • .in genere, gli investitori sovrastimano la probabilità di eventi improbabili.

La maggior parte degli investitori valuta ciascun investimento rispetto a un punto di riferimento. Al momento dell’acquisto dell’azione, il punto di riferimento (ancoraggio) è rappresentato dal prezzo di acquisto, ogni volta che si assiste ad un incremento del prezzo, si tende ad aumentare il punto di riferimento al prezzo più alto. Se successivamente il titolo comincia a perdere valore, si subisce una perdita rispetto a questo nuovo punto di riferimento, quindi subentra il rimpianto di non aver venduto il titolo al suo prezzo massimo e si inizia a sperare che il titolo possa ritornare su questi livelli per poter recuperare la perdita. Gli investitori sono generalmente avversi alle perdite e cercano di evitarle quanto più possibile, ma quando si trovano ad affrontare delle perdite, essi reagiscono assumendosi un rischio maggiore, talvolta con risultati disastrosi.

È stato dimostrato che gli investitori hanno spesso la tendenza a mantenere i titoli perdenti in portafoglio più a lungo dei titoli performanti (disposition effect) per evitare il rimpianto di aver venduto il titolo in perdita. Il riflesso che porta a reagire con una maggiore propensione al rischio di fronte alle perdite è rafforzato dalla tendenza a sovrastimare la probabilità degli eventi rari e a sottostimare quella di eventi frequenti. Un’analisi troppo frequente del portafoglio potrebbe enfatizzare eccessivamente le fluttuazioni a breve termine dei mercati finanziari, portando gli investitori a perdere di vista i propri obiettivi a lungo termine, questo fenomeno è definito “avversione alle perdite miopica”. Un altro aspetto riguarda l’attitudine a valutare il portafoglio investimenti a strati, cioè in modo indipendente e non in un contesto di portafoglio completo, che sarebbe invece la soluzione ideale, con riflessi importanti sulla percezione del rischio che cambia per ogni strato del portafoglio.

Nella consapevolezza che un investitore è diverso da ogni altro, per esigenze e necessità finanziarie, per elementi di natura emotiva e caratteriale, nonché per atteggiamenti ed esperienze personali che inevitabilmente influenzano le decisioni in campo finanziario, implementare una corretta pianificazione strategica di investimento oltre a richiede sicuramente una conoscenza approfondita delle dinamiche economiche e finanziarie, non può prescindere dalla conoscenza di se stessi per proteggersi contro gli errori e allo stesso tempo migliorare la performance di investimento del proprio portafoglio.

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