Il cliente consegna al pf somme in contanti per investirle e questo se ne appropria: cosa succede poi? Confrontiamo le parole dei giudici. Riportiamo per cominciare il caso oggetto della sentenza 1741 del 25 gennaio 2011 emessa dalla terza sezione della Cassazione. La vicenda vede protagonista un promotore finanziario che veniva convenuto in giudizio da una cliente che gli aveva consegnato rilevanti somme tramite assegni e bonifici bancari in favore di una fiduciaria legata alla sim per la quale operava il pf e a una società finanziaria estera. Insospettita dalla mancanza di comunicazioni da parte della sim, la cliente chiedeva spiegazioni alla stessa, che comunicava che la posizione non era mai esistita e che il promotore non operava più per lei. Nel frattempo, il professionista infedele aveva distratto le somme della sua cliente che lo citava in giudizio insieme alla sua ex sim. Quest’ultima veniva condannata in primo grado, in solido con il promotore, al risarcimento del danno.
La sim ricorreva in appello deducendo il fatto che tra il pf e la cliente intercorreva un rapporto fiduciario tale che aveva portato la prima a comportarsi in maniera poco avveduta, dal momento che il versamento non avveniva tramite assegni circolari intestati alla sim ma attraverso assegni bancari e bonifici, quindi in netto contrasto con le regole stabilite. In pratica, la difesa dell’intermediario consisteva nell’affermazione della tesi che se il risparmiatore fosse stato più avveduto il danno non si sarebbe prodotto. Ciò sulla base dell’articolo 1227 del codice civile, secondo il quale “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”. Il tribunale di secondo grado (Corte d’appello di Trieste) accoglieva quindi la domanda della sim e rigettava quella della cliente che, a sua volta, ricorreva in Cassazione.
I giudici della suprema corte ribaltano le conclusioni della Corte d’appello facendo riferimento alla legislazione in materia, dalla legge 1/91 fino all’articolo 31 del Tuf, che prevede la responsabilità solidale dell’intermediario finanziario con quella del promotore anche quando la responsabilità di quest’ultimo sia accertata in sede penale. In merito a tale normativa, nella sentenza si legge che “le disposizioni regolamentari in ordine alle regole che i promotori finanziari devono osservare nel riceversi somme di denaro dai loro clienti sono consustanzialmente dirette a porre obblighi di comportamento in capo al promotore e traggono la propria fonte da prescrizioni di legge espressamente volte a tutelare il risparmiatore”. La conclusione dei giudici è che se il promotore viola la normativa ciò non può essere addebitato come colpa al cliente, anche se è stato negligente.
Di più: i giudici della suprema corte osservano che “la responsabilità dell’intermediario preponente – la quale pur sempre presuppone che il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria all’esercizio delle incombenze a lui facenti capo – trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi; per altro verso, e in termini più specifici, nell’esigenza di offrire un’adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacché appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata”.
Anche in merito al fatto che il cliente ha effettuato l’investimento non seguendo i termini di legge permettendo così al promotore di appropriarsi di quelle somme, la suprema corte chiarisce che “la circostanza che il cliente abbia consegnato al pf somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle non vale, in caso d’indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, a interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del pf e la consumazione dell’illecito e non preclude pertanto la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente”. I giudici della suprema corte quindi ammettono la sola responsabilità dell’illecito a carico del promotore finanziario, escludendo il concorso colposo del cliente nella produzione del danno anche se quest’ultimo si sia dimostrato indubbiamente negligente nell’evitare di rispettare quelle regole che sono state poste proprio a sua difesa. Il fatto, però, che il cliente abbia permesso al pf di violare le norme a sua tutela deriva anche dall’abuso del rapporto fiduciario posto in essere dal promotore.
Anzi, scrivono i giudici, “l’attività di promotore aveva agevolato la commissione del fatto illecito offrendogli l’occasione di accreditarsi presso la cliente”. Lo stesso principio giuridico è stato riconfermato dalla terza sezione civile della Cassazione in un’altra sentenza (la numero 24004 del 16 novembre 2011), secondo la quale la “mera circostanza” della consegna da parte del cliente al pf con modalità difformi previste dalla normativa non esclude, in caso di indebita appropriazione da parte di questo, la responsabilità solidale dell’intermediario preponente. Ciò significa che la società mandante è destinata sempre a soccombere quando promotore e cliente violano la legge con danno per il cliente? No, in quanto su questo punto sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito sono concordi nel ritenere che non possa escludersi a priori il concorso di colpa del danneggiato.
È la stessa sentenza della Cassazione che stiamo esaminando che chiarisce che l’articolo 1227 c.c. può essere applicato “qualora l’intermediario provi che vi sia stata, se non addirittura collusione, quantomeno una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest’ultimo gravanti”. Questo orientamento giurisprudenziale è stato riconfermato da un pronunciamento del tribunale di Monza del primo luglio, che ha dichiarato la non responsabilità dell’intermediario in caso di operato infedele di un suo promotore. In questa vicenda, il professionista, al fine di distrarre i fondi a lui affidati, consegnava falsi rendiconti a clienti che avrebbero dovuto riconoscerli come tali. Questi ultimi, dopo aver querelato il promotore finanziario, citavano in giudizio l’istituto di credito e lo stesso pf per far valere l’illiceità della condotta di quest’ultimo e la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dell’intermediario e chiedendo il risarcimento dei danni subiti in solido ritenendo sussistente il “rapporto di occasionalità” tra l’attività del promotore e quella della società preponente.
Questa, a differenza del promotore che risultava contumace, si costituiva in giudizio contestando il comportamento dei clienti che accettavano dal promotore infedele una documentazione chiaramente artefatta e consegnavano allo stesso somme in contanti violando le regole contrattuali e la normativa antiriciclaggio. A tale proposito il giudice di Monza scrive nella sentenza che “l’accettazione di una rendicontazione parallela e, chiaramente, del tutto difforme da quella ufficiale inviata dalla banca è un chiaro indice della consapevolezza di operare extra ordinem (quantomeno, in relazione a quelle regole note a ogni correntista e investitore che utilizzi i canali ufficiali a ciò preposti) e dell’esistenza, quantomeno, di quella “fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, delle regole di condotta su quest’ultimo gravanti” idonea a integrare secondo la suprema corte, un addebito di responsabilità a carico dello stesso cliente, a titolo di colpa concorrente o esclusiva, soprattutto laddove – come nel caso di specie – la condotta del risparmiatore “presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quantomeno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore palesata da elementi presuntivi quali ad esempio il numero e la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, o il valore complessivo delle operazioni”. Su tale base, il tribunale giunge a escludere “qualsiasi rapporto di occasionalità necessaria tra il palesemente illecito operato del promotore e la banca convenuta e, in ogni caso, deve ritenersi integrata la corresponsabilità dei clienti ex art. 1227 c.c. idonea a incidere, in via esclusiva, sulla creazione dei conseguenti danni”. Quindi solo quando abbia posto in essere un comportamento doloso o gravemente negligente il cliente può ritenersi responsabile per concorso di colpa ai sensi dell’articolo 1227 c.c.