Trust, se lo conosci lo usi meglio

Il trust (letteralmente, “affidamento”) è un istituto polimorfo caratterizzato da una certa versatilità e flessibilità; può prestarsi, infatti, alle finalità più ampie, anche se spesso è stato utilizzato con una certa approssimazione. Questo strumento non dovrebbe essere offerto (così come spesso, purtroppo, avviene soprattutto da parte di “chi vive di trust”) in maniera indifferenziata e standardizzata; tale che fosse lo strumento ideale per ogni situazione. Più corretto, invece, considerarlo ed utilizzarlo come uno dei vari strumenti di pianificazione patrimoniale; idoneo, cioè, a svolgere in maniera ottimale le proprie finalità una volta che, magari, non si siano trovate in ambito domestico soluzioni più semplici e maggiormente regolamentate. Spesso, la domanda di trust sottace a finalità scorrette quali, ad esempio, l’intenzione di sottrarre alcuni beni a pretese creditorie oppure per sottrarsi a norme imperative italiane (come la quota di legittima), ovvero, più in generale, a scopi di natura elusiva. Ebbene, non è questo l’approccio giusto allo strumento. Con buona probabilità, infatti, non si otterrebbe alcuna tutela giuridica o perlomeno ci si troverebbe di fronte a uno strumento facilmente “smontabile”. Al contrario, invece, si potrebbe utilizzare il trust per tante altre situazioni quali, ad esempio:

  • garantire la continuità di un patrimonio o preservare lo stesso a beneficio di un figlio minore (magari nato in secondo matrimonio), addirittura attraverso l’utilizzo congiunto di una polizza vita e di un trust come beneficiario delle stessa;
  • garantire il passaggio generazionale d’azienda, disciplinando i rapporti tra fratelli nella holding di famiglia e gli aspetti inerenti l’amministrazione nella continuità aziendale;
  • disciplinare in trust i rapporti tra soci di capitale come alternativa o consolidamento di patti di sindacato;
  • preservare il patrimonio immobiliare (ma anche d’altra natura), apportandolo in trust e disciplinandone gli usi futuri; eventualmente tramite apporto e trasformazione di società immobiliari esistenti;
  • costituire un patrimonio separato, gestito in maniera discrezionale da un trust professionale la cui esistenza sia condizionata (a termine ovvero a monte sino a che determinate situazioni sussistano);
  • conferire in trust le quote aziendali (o parte di esse) con beneficiari i figli minorenni. Il trust gestirà le quote fino a una precisa data, alla scadenza della quale il patrimonio sarà equamente diviso secondo criteri qualitativi;
  • costituire un trust che permetta la tutela di un soggetto debole/incapace, anche in caso di premorienza dei genitori (garantendo, così, la rendita e preservando il patrimonio);
  • conferire in trust disponibilità finalizzate a costituire un patrimonio separato finalizzato a garantire il buon esisto di un’operazione. È bene chiarire che frequentemente viene usato il termine trust; meglio, però, sarebbe parlare dei trusts, tante sono le implicazioni che caratterizzano lo strumento, in specie di carattere fiscale. La stessa Agenzia delle Entrate ha precisato, infatti, che il trust può essere utilizzato “per una molteplicità di scopi. Ciò impedisce, a priori, categorizzazioni assolute e qualsiasi proposta interpretativa unitaria” (Ris. Agenzia Entrate n° 110/23/4/2009). L’istituto, in ogni caso, non ha una disciplina civilistica interna (anche se vi sono proposte di legge dirette a disciplinare il c.d. “contratto di fiducia”, peraltro d’impronta civilistica e operativa differente), ma trova la propria legittimazione in seguito all’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del primo luglio 1985 (resa esecutiva con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989 e in vigore dal primo gennaio 1992) si veda la tabella 1. Sotto il profilo civilistico, la Convenzione dell’Aja ci permette di delineare la natura dei trusts attraverso l’indicazione di alcuni elementi essenziali:
  • istituzione, da parte di un soggetto-disponente (settlor), con atto tra vivi o mortis causa, di rapporti giuridici diretti a porre determinati beni sotto il controllo di un trustee (amministratore) nell’interesse di un (o più) beneficiario(i) o per un fine specifico:
  • i beni vincolati nel trust sono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
  • i beni vincolati nel trust sono intestati al trustee o ad altro soggetto per conto del trustee;
  • il trustee è tenuto ad amministrare, gestire e disporre dei beni in trust secondo le indicazioni dettate nell’atto costitutivo del trust e nel rispetto della legge. Il trustee deve rendere conto della gestione;
  • possibilità per il disponente di conservare alcuni diritti e facoltà (ad esempio, nomina di un protector o guardiano, con compiti di controllo e sull’operato del trustee e di eventuale sostituzione dello stesso);
  • indicazione della durata massima.

L’atto istititutivo del trust (o deed of trust) è un atto unilaterale che dovrà contenere sia le modalità d’attribuzione dei beni dal disponente al trustee, sia le regole da seguire per l’amministrazione e gestione di questi beni. La struttura dell’istituto potrà essere di natura trilaterale (disponente, amministratore, beneficiario) oppure anche solo bilaterale (nel caso in cui il disponente designi se stesso come trustee o beneficiario) o quadrilatera (inserimento di un guardiano, con compiti di controllo sull’operato del trustee e con poteri sostituire quest’ultimo a certe condizioni prefissate).

Naturalmente il tutto con le disposizioni fiscali in materia che potrebbero disconoscere o considerare interposti trust con limitati poteri discrezionali per il trustee. Necessario sarà che venga scelta una giurisdizione straniera (non necessariamente di common law) ove il trust sia previsto per potere ottenere un valido riconoscimento dello stesso (tabella 2). La scelta della legge regolatrice dovrà essere compiuta all’atto d’istituzione del trust dal disponente. Gli aspetti più rilevanti nella scelta non potranno prescindere, oltre che dalle finalità perseguite, anche dalla presenza dei requisiti minimi che il trust dovrà possedere per poter essere riconosciuto in base alla Convenzione dell’Aja, dalla tradizione in materia di trust, dalla riservatezza, e dall’esistenza di meccanismi di tutela da indebite aggressioni al patrimonio da parte di terzi e dalla scelta di una legge non confliggente con le norme imperative previste all’interno del nostro ordinamento. Ne consegue che, quindi, prima si dovrà definire il trust e successivamente sceglierne la legge regolatrice.

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