Il caso 4you dà uno spunto chiaro

Forse è stata detta una parola chiara su 4you. La cosa non è tanto importante in sé, tranne ovviamente per chi si trova ancora in portafoglio l’operazione o per i giudizi in corso, ma per i principi molto chiari da tenere ben presenti per il futuro laddove si verifichino fattispecie non identiche, ma che comportino qualche punto di analogia. La sentenza della suprema corte dell’8 luglio 2011, depositata in cancelleria il 3 febbraio 2012 (tempo un po’ lungo per la stesura di una motivazione di così singolare linearità e chiarezza), ha evidenziato alcuni principi del Tuf con un’applicazione potenziale che va oltre il caso concreto.

La sentenza si occupa di un ricorso di una banca contro una decisione della corte d’appello di Genova di condanna al pagamento dei danni arrecati a un sottoscrittore del programma o (com’è più appropriato dire) dello strumento finanziario 4you. La Cassazione, a conferma dell’impugnata sentenza, statuisce, tra l’altro, un paio di “principi” o loro applicazioni alla fattispecie concreta che potrebbero avere effetti in altre ipotesi. Il primo punto è la classificazione di strumento finanziario di tutto l’impianto dalle quote di fondi al finanziamento sottostante all’apertura di conto corrente e al pegno.

Secondo la corte, “il piano finanziario di cui trattasi (si deve) considerare come uno strumento finanziario costituito da una peculiare combinazione di titoli obbligazionari e di quote di un fondo comune d’investimento nel contesto unitario di un’operazione di finanziamento garantita da pegno costituito sui medesimi strumenti finanziari e finalizzata sia alla restituzione del finanziamento erogato che alla realizzazione dell’investimento”.

Tutta la costruzione è da considerarsi funzionalmente unitaria come un unico strumento finanziario e di conseguenza va assoggettata per intero e non per singolo contratto al Tuf. Ne consegue che il finanziamento concesso non è un accessorio al servizio d’investimento principale (negoziazione o collocamento che sia), ma è assorbito dallo strumento finanziario e diviene quindi l’oggetto di un servizio d’investimento principale. Di conseguenza, i vari contratti devono rispettare, tra le altre, le norme del Tuf sia in materia di collocamento fuori sede sia di recesso. Applichiamo questi principi ad altre fattispecie. Ad esempio, le operazioni in cambi.

Dette operazioni possono avere una doppia veste: possono essere commerciali, laddove soddisfino esigenze di importexport aziendali o di turismo per i privati o attività sempre n e l l ’ a m b i t o aziendale o personale; in altra veste, p o s s o n o essere speculative e regolate per differenza. In tale ultima ipotesi, le operazioni in cambi divengono strumenti finanziari in sé perdendo la natura di servizio d’investimento accessorio a quello principale avente a oggetto strumenti finanziari denominati in valuta. Spesso, per non dire sempre, le operazioni in cambi di natura speculativa sono accompagnate da finanziamenti o aperture di credito e r e l a t i v e garanzie.

Un punto importante da chiarire è la natura di queste facilitazioni di credito e pegni: sono un servizio d’investimento accessorio oppure sono assorbite dalla natura di strumento finanziario dei contratti in cambi? In ogni caso, è fuor di dubbio che si applicano le regole del Tuf. Quindi i contratti stipulati fuori sede, vale a dire a casa o nell’ufficio del cliente, devono rispettare precise forme: intervento di un promotore finanziario, jus poenitendi, inversione dell’onere della prova, eccetera.

La carenza di queste modalità e garanzie riconosciute al cliente retail dalla legge porta inevitabilmente alla nullità dell’intero contratto o insieme o costruzione di contratti. Questi aspetti sono stati finora sottovalutati o addirittura ignorati dalla prassi. Gli intermediari e le banche farebbero bene a prestare la dovuta attenzione a queste situazioni per evitare problemi in futuro, quando, come spesso accade, le operazioni in cambi si rivelassero negative per il cliente.

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