L’Europa s’interroga all’indomani del primo turno delle elezioni francesi. Che fine farà l’asse franco-tedesca? Ma prima di preoccuparsi della salute della Merkel, forse bisognerebbe che i governi cominciassero a capire che il pareggio di bilancio è importante ma non meno della ripresa economica. E il combinato disposto tra la crisi finanziaria internazionale e quella dei debiti sovrani rischia di pregiudicare, in modo rilevante, le conquiste economico-sociali conseguite addirittura dalla fine della grande depressione del 1929.
In Italia, la manifestazione più evidente è data dai due milioni e 897 mila persone che vorrebbero un posto di lavoro e che hanno smesso di cercarlo (i cosiddetti inattivi). Se a questa cifra si sommano i 2,221 milioni di disoccupati (Istat), le persone che aspirano ad ottenere un lavoro superano i cinque milioni. In l’Eurolandia, gli “inattivi” sono circa 8,6 milioni. Se a questa cifra si sommano i disoccupati (18 milioni circa), si raggiunge un dato che supera i 25 milioni.La crisi dell’occupazione da un lato e quella dei debiti sovrani dall’altro, sono le due facce della recessione economica, iniziata nel 2008, riemersa alla fine del 2011, dopo che negli anni intermedi non si è riusciti a ritornare ai livelli di produzione e di consumo del 2007.
La bassa crescita dell’economia europea, per non parlare di quella italiana, non consente di risolvere, né il problema dell’occupazione, né tanto meno quello del debito degli Stati. Il meccanismo si è inceppato da più di 4 anni. È già molto se si riesce a contenere la situazione e si continua a galleggiare, anche se la paura di affogare è sempre dietro l’angolo. Fino a quando la gente sarà disposta ad accettare provvedimenti deflattivi che peggiorano le condizioni di vita e che non creano sbocchi occupazionali per i giovani e le donne? J.M.Keynes, durante la grande depressione degli anni 30 – provocata da imponenti speculazioni finanziarie – sosteneva che la “deflazione è pericolosa al pari dell’inflazione”:
in tal modo contrastava chi vedeva nell’inflazione l’unico vero pericolo, in quanto capace di sovvertire la base proprietaria della società. Posizioni del genere, oggi, sono sostenute dalla Germania. Ma l’uscita dalla grande depressione del 1929 fu assicurata, grazie al New Deal di roosveltiana memoria, sia attraverso l’intervento dello Stato che mediante il riconoscimento della funzione positiva dell’attività sindacale. Di fatto, per mezzo di azioni che comportarono un ampliamento della democrazia, si costituirono le condizioni affinché, nel dopoguerra, unitamente all’intervento degli Stati, potesse crescere la massa salariale dei lavoratori, sia americani che europei, quale pilastro della crescita della domanda effettiva e dell’economia. Questa volta però, non c’è un nuovo Roosvelt e nei consessi internazionali si sono fatte solo chiacchiere e riunioni ma non è stata affrontata nessuna riforma del sistema finanziario, come avvenne in America durante il New Deal. Dalla grande depressione si uscì con un solido patto tra i produttori che riduceva l’incertezza e che rendeva possibile un ampliamento della capacità complessiva di intervento degli Stati. Forse è il caso di riprovarci?