Chi si rivede, Goldman Sachs

La regina dei mercati, la Goldman, è stata di recente oggetto di pesanti sanzioni da parte delle autorità di vigilanza statunitensi: 11 milioni di dollari da parte della Sec, altrettanti dalla Fira (Financial industry regulatory authority), dopo aver raccolto altri dieci milioni di sanzioni della autorità locale del Massachussetts. Tre autorità! Anche gli Stati Uniti, quanto a burocrazia, non scherzano mica. In tutto, 32 milioni di dollari. Tanti, ma poco più di un buffetto sulla guancia per il bilancio della grande banca, non sono certo sufficienti a colpirne adeguatamente i comportamenti negativi. In realtà non si tratta di una sanzione vera e propria, bensì di una sorta di patteggiamento, settlement; formula giuridica che consente di pagare un importo ridotto senza riconoscere alcuna responsabilità in merito alla violazione contestata.

Peraltro la “presunta” violazione non è di poco conto, è di quelle che intaccano l’integrità del mercato e fanno perdere fiducia agli investitori. Da questo punto di vista il comportamento degli uomini della Goldman è molto negativo e meritevole di sanzione anche più pesante di quella effettivamente subita. Qual è l’accusa, senza alcun riconoscimento di responsabilità da parte di Goldman (precisiamo bene). Il capo d’imputazione è di carattere organizzativo: la banca non avrebbe predisposto le procedure e i controlli idonei a impedire che le ricerche degli analisti fossero diffuse in modo non corretto a trader e clienti. In concreto pare che si organizzassero “informali” riunioni, tanto informali da essere paragonate a quelle che i giocatori di football americano tengono in campo prima di ogni giocata, lontano da occhi e orecchie indiscrete, per decidere il modulo di gioco da utilizzare nello specifico frangente.

Queste riunioni coinvolgevano gli analisti, che illustravano le loro ricerche ai trader e, a volte, anche ai clienti più rilevanti. In ogni caso le informazioni passavano dagli analisti ai trader e da questi ai clienti con modalità irregolari. In breve, il rischio che informazioni privilegiate passassero dal settore ricerca al tavolo di negoziazione e ai clienti era elevato. In questo modo si violavano le norme sia sull’insider trading sia sulla parità di trattamento di tutti i clienti. Ma non è tutto. Sembra che, in alcuni casi, le informazioni sui risultati delle ricerche degli analisti passate ai clienti fossero decettive, false, l’opposto di quanto comunicato ai trader, e che anche l’operatività fosse di conseguenza: si comprava laddove ai clienti era stato consigliato il contrario o viceversa. In breve si manipolava il mercato sfruttando la “credulità” dei clienti. Goldman è la più importante banca d’investimento al mondo e un modello per tutti i concorrenti.

Qualora questo fosse stato effettivamente il suo modus operandi (la prudenza è d’obbligo non essendovi stato nessun riconoscimento di colpa), se ne può dedurre che i comportamenti che hanno originato la crisi finanziaria non sono stati modificati, che i vari quantitative easing e finanziamenti a buon mercato della Federal Reserve alle banche continuano ad alimentare le bolle speculative e episodi di market abuse e che le riforme di Wall street, promesse da Obama nella precedente campagna elettorale, non sono state attuate e oggi sono tanto più necessarie.

Simili comportamenti, laddove, come si può facilmente intuire, fossero condivisi da una parte rilevante degli operatori, minano fortemente la credibilità del mercato e dei suoi protagonisti, soprattutto la sua trasparenza e la correttezza delle quotazioni. È un invito a tenersene lontano. Queste situazioni, insieme al messaggio molto forte lanciato dagli azionisti che hanno negato la loro approvazione alle retribuzioni troppe elevate dei manager (City e altri), sono il sintomo di un profondo disagio, per non dire peggio, di tutti i protagonisti e della fragilità del mercato che non riesce a trovare un proprio equilibrio. Finché le autorità non adotteranno le misure adeguate non ci sarà via d’uscita alla crisi.

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