Stavolta a perdere è il computer

Il caso è interessante, di quelli che possono segnare la storia delle Borse. Gli stessi norvegesi hanno scomodato toni e figure retoriche più mediterranei che da freddi nordici. Si è parlato di vittoria dell’uomo contro il computer, si è citato Knut Hamsun (il più grande drammaturgo norvegese, secondo alcuni), pesanti critiche sono arrivate alla locale Consob, ai funzionari di polizia e ai giudici coinvolti nel giudizio. Cos’è accaduto in concreto (tenendo conto che per ora sul web è disponibile solo il testo in lingua originale della sentenza)? Due frequent trader, senza nessun contatto tra loro prima del processo, hanno decifrato gli algoritmi di un programma di trading di una casa londinese che opera sul mercato norvegese. Individuato il programma, hanno potuto prevedere le mosse del computer. E lo hanno ingannato. Vale a dire che hanno compiuto una serie di operazioni tali da determinare la reazione del computer.

Conoscendola ex ante, si sono posti in contropartita col trader informatico e hanno guadagnato una bella cifra. Le operazioni incriminate sono 72. Nella realtà sono di più, ma non sono finite in giudizio, mentre ne sono state documentate altre non riuscite per intromissione di altri trader. Addirittura, i due imputati si sono ostacolati tra loro, non agendo insieme ma splendidamente da soli. Lo schema operativo consisteva nell’accumulare una rilevante quantità di titoli. Raggiunto il quantitativo desiderato, si procedeva ad acquisti o vendite di lotti più piccoli, ma tali da far scattare gli alert e i conseguenti acquisti o vendite da parte del computer della casa di brokeraggio. A questo punto i nostri eroi hanno venduto tutta la posizione accumulata e hanno portato a casa il loro (meritato o immeritato) guadagno. Quale violazione hanno commesso? Non certo un abuso di informazione privilegiata: nessuno ha comunicato loro il programma né essi l’hanno rubato (almeno di questo non c’è alcuna prova agli atti). Semplicemente, osservandone l’operatività hanno decifrato il programma della casa di brokeraggio e si sono organizzati per guadagnare “giocandogli contro”.

Stando alle loro affermazioni (poco diplomatiche), “o il robot è molto, molto stupido o la persona che l’ha programmato è molto, molto stupida”. Secondo alcuni interpreti (in primis la locale Consob e la polizia), il fatto di acquistare titoli al solo fine di far scattare un programma informatico di acquisti o vendite da parte di terzi costituisce manipolazione, secondo altri no. Costoro hanno vinto, ma di stretta misura. In primo grado i due trader erano stati condannati, ma la corte suprema norvegese con tre voti contro due (il minimo scarto) ha ribaltato la sentenza di merito e ha stabilito che la condotta dei due trader non costituisce manipolazione. Al di là della retorica scatenata dalla vittoria dell’uomo contro il computer, peraltro sempre programmato da un altro uomo (più stupido), rimane aperta sia la valutazione della liceità della condotta dei due trader sia l’opportunità o addirittura la legalità dell’attività di questi programmi informatici che agiscono direttamente senza il filtro dell’uomo e senza nessuna valutazione, salvo l’algoritmo che li governa, sempre di origine umana. Si tenga conto che ormai questi programmi rappresentano la grande maggioranza degli ordini eseguiti sui mercati mondiali e spesso sono intraday. In questo modo si determinano movimenti di prezzo senza alcun riferimento alla situazione economica generale e dell’emittente. In breve, si compie un atto molto simile alla manipolazione, perché non c’è alcun riferimento alla “verità”, ma il tutto appartiene a una realtà virtuale. Prima di condannare i due trader, è quindi bene valutare il comportamento dei cosiddetti high frequency trader. Da notare che neppure la sentenza di primo grado difendeva la casa di brokeraggio vittima del raggiro, ma affermava esplicitamente che la causa era stata focalizzata esclusivamente sulla tutela dell’integrità del mercato.

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