Che pasticcio il falso in bilancio

Che il governo tecnico non fosse tanto “tecnico” lo avevamo capito tutti. Però desta perplessità che s’inguai con le proprie mani in grossolane sviste procedurali. Nella votazione sul testo di legge che prevede, in qualche modo, il ripristino nella vecchia formulazione del reato di falso in bilancio, sono accadute cose troppo controverse per darne conto in un modesto articolo. Stupisce che il governo vada a complicarsi la vita proprio nei frangenti più tecnici, laddove dovrebbe eccellere. Non interessa più di tanto come siano andate le cose: ognuno regolerà i conti a casa propria.

Appare inoltre abbastanza facile prevedere che situazioni del genere si ripeteranno su altre proposte di legge e alla fine ben poco si concluderà. Il punto è che in Italia non si riesce ad affrontare un problema in chiave tecnica, vale a dire con la capacità di fare le cose con conoscenza e perizia. Ogni frangente è pesato sotto l’aspetto ideologico o, forse, prima con riferimento agli interessi propri e dei propri “tifosi” (ormai è difficile anche parlare di elettori) e poi alla classificazione di destra o sinistra della fattispecie.

Punire o non punire il falso in bilancio è una scelta pratica, concreta, senza riferimento ad adesioni all’uno o all’altro degli schieramenti in competizione. L’ex presidente Bill Clinton negli Stati Uniti ha molto alleggerito la normativa sui bilanci delle società, mentre George W. Bush l’ha inasprita. Non in ossequio a idee astratte dell’Olimpo platonico, ma perseguendo gli interessi concreti della nazione. Per essere ancora più chiari, il reato di falso in bilancio è una delle più importanti rivalutazioni del periodo di Tangentopoli. In precedenza, le sentenze in materia erano pochissime, assolutamente occasionali, frutto del caso anziché di un’effettiva volontà persecutoria del presunto crimine. Il falso in bilancio è stato usato come reato ancillare o segnaletico della più grave fattispecie di corruzione o, se si preferisce, non riuscendo a dimostrare la corruzione, si puniva il falso in bilancio nella presunzione che eventuali distrazioni di fondi fossero finite a membri dell’apparato politico- amministrativo per finalità e con modalità illecite. Il falso in bilancio è divenuto quindi un reato sintomo o accessorio o punizione di ripiego per ben più gravi fattispecie penali. Nelle circostanze odierne, il nostro sistema sta dando il peggio di sé (e anche questo allontana gli investimenti esteri e pure domestici) con battibecchi infarciti di luoghi comuni e di slogan a malapena tollerabili in campagna elettorale, indegni di u n a discussione di livello adeguato ai problemi gravi della nazione. In primo luogo, l’investitore vuole la certezza del diritto, di ciò che si può o non si deve fare.

Subito dopo vuole una magistratura serena ed efficiente. Ovviamente, non vuole avere a che fare in generale con un sistema corrotto. Se s’intendono affrontare queste questioni e attrarre qualche azienda estera, se ancora ce ne fosse qualcuna, per localizzare in Italia la sede operativa, questi sono gli obiettivi da raggiungere nell ’ i n t e – resse della nazione. Cameron ha puntato la ripresa del Regno Unito sulla riduzione della corporate tax e la lotta alla corruzione a tutti i livelli, compresi quelli infimi, del guardiano del mercato per intendersi. Perché non seguire il suo esempio, anche nel ridurre le tasse? I punti guida da seguire non sono gli interessi di parte, ma una legge chiara che non sia annullata dalla prossima maggioranza parlamentare, con costosi aggiornamenti, abbastanza equilibrata da contemperare le esigenze di celerità degli affari con un’equa trasparenza, sufficientemente rigida da non prestarsi a interpretazioni dottrinarie o giurisprudenziali bizzarre. Questi devono essere i punti fondamentali del dibattito. Se su questi aspetti non si condivide la decisione da presentare ai mercati, è meglio “lasciare perdere” e non avventurarsi in riforme raffazzonate, di difficile applicazione e di corto respiro.

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