Private equity, l’investitore istituzionale latita

FOTOGRAFIA DEL SETTORE – L’Aifi, l’associazione italiana del private equity e del venture capital, ha presentato oggi a Roma l’indagine sugli investimenti istituzionali in private equity. Presupposto della ricerca è fotografare la situazione degli impieghi in questa asset class da parte dei principali investitori istituzionali. E uno dei punti in esame è proprio l’insieme dei motivi che rendono ancora difficile l’incontro tra questi mondi. Ancora debole infatti l’apporto di fondazioni bancarie, fondi pensione ed enti previdenziali privati.

I NUMERI DEL SETTORE – I risultati dicono che in Italia sono presenti oltre 170 operatori di private equity e venture capital attivi, che detengono un portafoglio di più di 1.000 imprese, in cui hanno investito capitali di rischio per 20 miliardi. A loro volta, le imprese target rappresentano un numero di lavoratori pari a circa 400mila unità e un totale di 85 miliardi di euro di fatturato. Per il 50% si tratta di piccole aziende con meno di 100 addetti.

TUTTO SUGLI INVESTIMENTI – A fine 2011 risultavano disponibili per investimenti 6 miliardi di euro, senza tener conto dei fondi paneuropei, che negli ultimi anni hanno investito 2 miliardi di euro all’anno nell’imprenditoria italiana. La performance lorda delle partecipazioni acquisite e disinvestite dal 1986 a oggi si attesta al 26,3%, mentre quella a 10 anni, che considera sia le società disinvestite sia quelle ancora in portafoglio, è del 13,3%, in crescita rispetto all’anno precedente. I soli disinvestimenti realizzati nel 2011, dopo anni di performance negative, hanno dato secondo l’indagine rendimenti positivi pari al 12,6%.

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