Stimoli monetari in grado di compensare i bassi utili

A partire dall’inizio di settembre, i mercati azionari si sono arenati in una fase di sostanziale stagnazione. In effetti, l’umore degli investitori ha risentito di vari fattori, ovvero: previsioni economiche sfavorevoli dell’FMI, tentennamento da parte della Spagna a presentare una richiesta formale di aiuto ed esordio mediocre per la pubblicazione dei risultati reddituali delle imprese nel terzo trimestre. Gli interessi sulle obbligazioni spagnole sono rimasti elevati, mentre si registra anche un lieve incremento dei rendimenti sul debito USA a seguito del modesto miglioramento dell’economia. 

 
Come spiega Alberto D’Avenia, Responsabile Distribuzione esterna di BNP Paribas Investment Partners, “abbiamo deciso di adottare una posizione neutra nel comparto azionario, soprattutto poiché il rialzo dei mesi estivi ha spinto verso l’alto le quotazioni, che al momento non paiono più particolarmente interessanti. Inoltre, il ridotto differenziale di crescita tra le economie in via di sviluppo e quelle avanzate, gli scarsi margini di manovra a disposizione delle banche centrali per allentare la politica monetaria e i rischi crescenti di una brusca frenata dell’economia cinese non giocano a favore dei paesi emergenti”. 

Il Fondo Monetario Internazionale ha ridotto le proprie stime di crescita sia per quest’anno che per l’anno prossimo a livello mondiale, ma i tagli sono stati particolarmente severi per l’area dell’euro e il Giappone. Queste correzioni al ribasso non dovrebbero aver sorpreso gli operatori: infatti dopo la pubblicazione, a luglio, delle stime precedenti dell’FMI, si sono registrati dati macroeconomici deboli e le previsioni relative al settore privato sono state ridotte. Inoltre, l’FMI ha messo in guardia dal rischio di una nuova recessione: il pericolo maggiore riguarda il cosiddetto “fiscal cliff” negli USA (ovvero il precipizio fiscale scatenato dall’entrata in vigore contemporanea di aumenti alle tasse e di forti tagli alla spesa pubblica), e l’eventualità di un’insolvenza di un paese dell’area dell’euro o persino il suo smembramento. “I nostri esperti prevedono che sarà trovata una soluzione temporanea per i problemi di bilancio negli USA, facendo guadagnare tempo per trovare un accordo sulle riforme strutturali, mentre nell’area dell’euro per adesso i rischi di disgregazione si sono attenuati, grazie al programma di acquisto di obbligazioni lanciato dalla BCE”. 

Desta maggiore preoccupazione il peggioramento delle stime dell’FMI relative ai deficit di bilancio di numerosi paesi, che sono state elaborate tenendo conto delle attuali condizioni economiche (per lo più fiacche a livello mondiale). ”I deficit pubblici sono destinati a scendere molto lentamente in paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche negli Stati Uniti e in Giappone. Inoltre, hanno suscitato maggiori perplessità alcune correzioni apportate alle stime sui livelli d’indebitamento, che hanno fatto sorgere nuovi dubbi sulla sostenibilità della situazione finanziaria di vari Stati”. Nel 2013, infatti, il debito della Grecia dovrebbe salire di 20,9 punti percentuali, arrivando al 181,8% del PIL e quello della Spagna del 12,9%, per toccare il 96,9% del PIL. Secondo l’FMI il debito del governo greco si attesterà su un livello superiore 150% del PIL nel 2017, mentre entro quella data il debito del Giappone avrà toccato il 250,3% del PIL. 

Gli ultimi dati rilevati sul mercato del lavoro USA sono risultati abbastanza confusi: “l’incremento dei posti di lavoro negli ultimi tre mesi ha fatto segnare un netto miglioramento, la settimana lavorativa media si è allungata e la retribuzione media oraria è salita. Tuttavia, la flessione del tasso di disoccupazione dall’8,1% al 7,8% pare un’anomalia: infatti, i dati alla base di quest’indagine possono essere estremamente instabili, mentre oltre la metà dei nuovi posti di lavoro è stata rilevata nella categoria “part-time per ragioni economiche” e ciò non è indice di particolare vigore. Nel complesso i dati segnalano un lieve rafforzamento dell’economia, che tuttavia sta crescendo più lentamente rispetto alla prima parte dell’anno” prosegue D’Avenia.

Le stime prevalenti relative ai profitti sono basse: in media, gli analisti prevedono che gli utili per azione dovrebbero scendere del 2% rispetto all’anno scorso. “Non sono da escludere delle sorprese positive, tuttavia saranno più importanti le previsioni pubblicate dalle aziende stesse. Le imprese potrebbero mostrarsi caute e, dato che le stime per l’anno prossimo sono ancora abbastanza elevate, ciò potrebbe provocare delle correzioni al ribasso. In un quadro caratterizzato prospettive sfavorevoli per gli utili societari, dubitiamo che la politica monetaria da sola sia in grado di far salire ancora gli indici azionari”, conclude D’Avenia.

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