Calzolari (Assosim): la Tobin tax avrà un effetto devastante

MERCATI FERITI – Non si conoscono ancora i dettagli della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. Ma è molto probabile che  produrrà un’importantissima contrazione dei mercati. Senza parlare dei dubbi sui suoi effetti anti speculativi. Insomma, le incognite sono ancora tante, osserva il presidente di Assosim Michele Calzolari. Che racconta a BLUERATING le sue perplessità.

Con la Tobin Tax verranno tassate le transazioni finanziarie. Che impatto avrà tutto questo sul mondo del trading?
Cominciamo in realtà a intravedere alcuni primi tentativi di apertura da parte del Governo, che sembrerebbe ora disponibile ad accogliere molte delle istanze sostenute anche da Assosim, quale quella di assoggettare a imposta anche le transazioni concluse tra intermediari esteri, prevedere aliquote differenziate per le diverse tipologie di strumenti finanziari, nonché esentare quelle categorie di intermediari, quali i market makers, che espongono in via continuativa proposte di negoziazione in acquisto e vendita al fine di fornire liquidità al mercato. C’è poi tutta una categoria di operatori, i cosiddetti trader on-line, costituiti pressoché esclusivamente da persone fisiche, che pongono in essere durante la giornata un numero molto elevato di transazioni, i quali anche contribuiscono a fornire liquidità al mercato, contenendo, al tempo stesso, la volatilità dei corsi. Una tassa sulle transazioni finanziarie nella misura ipotizzata dal Governo comporterebbe la fine certa di questa attività, i cui margini si fondano su variazioni anche infinitesimali dei corsi di mercato e che confida in commissioni di negoziazioni molto contenute (in misura normalmente sotto il basis point, ovverosia sotto lo 0,01% contro un’aliquota dello 0,05% prevista dal Governo).

Crede che la Tobin Tax sia solo un modo per rastrellare denaro sulle spalle dei risparmiatori o c’è anche qualcosa di buono?
Su una cosa siamo sicuramente d’accordo col Governo: la tassa produrrà un’importantissima e, aggiungiamo noi, irreversibile contrazione dei volumi di mercato (nella relazione tecnica di accompagnamento del disegno di legge, lo stesso Governo parla di una riduzione di affari pari al 30% per il mercato azionario e 80% per quello dei derivati). Va da sé che una simile contrazione dei fatturati per intermediari e mercati (primi tra tutti Borsa Italiana) comporterà inevitabilmente una riduzione di gettito per l’erario in termini di minori entrate da Ires, imposta sul capital gain e, quel che più dovrebbe preoccupare il Governo in una fase come questa, da Irpef conseguente ai numerosissimi tagli di personale che intermediari e mercati dovranno necessariamente effettuare per sostenere i nuovi livelli di fatturato. Ci sarebbe a questo punto da chiedersi se tutto ciò vale la pena a fronte di un gettito, stimato dal Governo, di 1.088 milioni di euro; possiamo davvero ritenere che il saldo netto per l’erario possa essere positivo, anche solo nel breve periodo?

La tassa potrà davvero mettere un freno alla speculazione selvaggia?
Il problema è in realtà molto complesso: bisognerebbe innanzitutto intendersi sul concetto stesso di speculazione, la qual cosa, mi creda, non è semplice. C’è comunque un punto fermo sul quale dovremmo tutti convenire: ove opportunamente costruita, la tassa potrebbe costituire un disincentivo per strategie operative che si pongono al limite del lecito e che rischiano, ove non attentamente monitorate dalle funzioni di controllo degli intermediari, di sconfinare in ipotesi di abuso di mercato. Mi riferisco, in particolare, a quei comportamenti che si sta ora cercando di meglio inquadrare tra le ipotesi di manipolazione nel contesto della revisione in atto della direttiva market abuse, quali ad esempio le strategie operative volte a creare una mera parvenza di mercato idonea a indurre in errore i competitor e, da questa, trarre un profitto. Mi sento, viceversa, di escludere che si possa parlare di speculazione, quantomeno nell’accezione negativa del termine, anche per quanti operano sul mercato dei derivati per finalità che non siano di mera copertura di rischi, quali ad esempio quelli di cambio o di tasso. Ferma restando la difficoltà di stabilire correlazioni inequivoche tra tali posizioni di rischio detenute dagli operatori economici e i vari strumenti finanziari a loro disposizione per esigenze di copertura, è evidente l’utilità per il mercato, in termini di apporto di liquidità, dell’operatività di quanti prendono posizione in funzione anche delle sole loro aspettative sull’andamento di variabili economiche. Come ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, i derivati non sono lo strumento del demonio, sebbene anche questi possano essere utilizzati per finalità non necessariamente in linea con gli interessi del mercato. Ritengo, pertanto, che lo scopo primario della tassa in parola, quantomeno così come strutturata dal Governo, non sia quello di combattere la speculazione, che rischia invece di aumentare per effetto di arbitraggi normativi che si verrebbero a creare tra paesi che prevedono questa tassa e paesi invece assolutamente contrari, ma quello di raccogliere fondi che, in ultima analisi, andranno a gravare soprattutto sui committenti finali delle transazione e, comunque, renderà finanziariamente più oneroso per famiglie e imprese la gestione dei rischi connessi alle variazioni di tassi di interesse e dei prezzi di valute e materie prime.

Si andrà incontro a una massiccia fuga di capitali dall’Italia?
Certamente si, se, come sembra, il Governo dovesse perseverare nell’idea di procedere anche in assenza di una direttiva Ue di armonizzazione e il testo disegno di legge dovesse rimanere inalterato; siamo tuttavia fiduciosi che la tassa possa quantomeno cambiare per trovare applicazione anche alle transazioni poste in essere tra due soggetti non residenti. La leva fiscale è una variabile molto delicata e i mercati e, di conseguenza, l’industria finanziaria sono molto sensibili a mutamenti repentini di norme non ben ragionate: temiamo che il risultato possa essere quello, più volte paventato, di delocalizzazione delle attività, chiusura di talune business units degli intermediari finanziari e aumento della disoccupazione. Paradossalmente si sposterebbe il gettito tributario auspicato dal governo italiano verso le casse di paesi dove la tassa non trova applicazione.

Come cambierà il mercato italiano con la Tobin tax? Sopravviverà solo chi ha le spalle grosse?
Come dicevo, il sistema finanziario è molto sensibile al cambiamento di norme fiscali: ogni soggetto economico dovrà valutare costi e benefici del cambiamento in atto sul fronte della tassazione. Va da sé che alcuni intermediari, quelli più grandi, potrebbero chiudere i desk di negoziazione italiani o spostare l’operatività su succursali estere (sappiamo che alcuni si stanno già muovendo in tale direzione). Molti degli intermediari più piccoli saranno invece costretti a chiudere definitivamente la loro attività. In un caso, come nell’altro, a pagare il conto saranno anche i dipendenti di questi intermediari. Si tratta di posizioni professionali altamente qualificate e, in quanto tali, particolarmente ambite da giovani che si laureano in discipline economiche e giuridiche delle nostre università e che, magari, hanno avuto un’esperienza di studio all’estero. L’elevatissimo numero di posti di lavoro che riteniamo saranno in tal modo perduti andranno pertanto ad alimentare in gran parte le fila della disoccupazione giovanile che affligge il nostro paese e a ridurre le speranze di tanti altri di trovare un lavoro adeguato a compensare tanti anni di studio. E il nostro, purtroppo, non è facile populismo, ma un’amara realtà!

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