Il petrolio può costar caro ai fondi hedge

SI SCOMMETTE SUL RIMBALZO – I fondi hedge stanno vivendo da oltre un anno un periodo difficile, con poche soddisfazioni e molti segni negativi che colpiscono anche i più illustri tra i “bei nomi” americani del comparto. L’ultima scommessa che rischia di andare di traverso a gestori e sottoscrittori sembra quella su un prossimo recupero delle quotazioni petrolifere. Secondo l’agenzia Bloomberg, infatti, nella settimana chiusa il 2 dicembre scorso le posizioni lunghe nette sul future sul Wti sono salite del 14% rispetto alla settimana precedente, segnando il massimo degli ultimi 20 mesi. Peccato che i prezzi del Wti, ma anche del Brent, non siano affatto risaliti, oscillando anzi stamane a 63,36 dollari al barile il primo e a 66,26 dollari al barile il secondo, una manciata di centesimi sopra i minimi a cinque anni fatti segnare ieri pomeriggio.

PREZZI DEBOLI ALMENO PER ALTRI 6 MESI – Nel frattempo oltre alla Russia, messa in deciso affanno dal crollo dei prezzi ben al di sotto del punto di pareggio della maggior parte dei suoi giacimenti, anche molte major come Bp o Total stanno riconsiderando se chiudere gli impianti più vecchi (e spesso più costosi) e se rinviare nuovi progetti di esplorazione e ricerca, mentre un esperto come Nizar Al-Adsani, Ceo di Kuwait Petroleum Corporation, ha dichiarato che i prezzi del petrolio si manterranno attorno ai 65 dollari al barile almeno per un semestre, salvo che l’Opec non decida di tagliare la propria produzione o la crescita mondiale non dia segnali di decisa accelerazione.

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