Voluntary disclosure, parla l’avvocato: perplesso sulla legge

VOLUNTARY DISCLOSURE AI RAGGI X – Il primo gennaio è entrata in vigore la legge che disciplina la voluntary disclosure (vai qui per la notizia precedente) e per la fine del mese sono attese le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate per dare il via alle pratiche finalizzate alla regolarizzazione della propria posizione rispetto ai doveri finora inevasi verso il fisco. Quando, lo scorso 17 dicembre, il testo è apparso in Gazzetta Ufficiale (qui la notizia), BLUERATING ha chiesto un parere sulla legge all’avvocato Francesco Giuliani (nella foto a destra) di Fantozzi & Associati.

Dal suo punto di vista, quanto convince l’impianto di questa legge?
Il mio giudizio sulla legge è, tutto sommato, positivo, pur con delle riserve. Consente, infatti, con un ragionevole risparmio sanzionatorio, di regolarizzare i propri patrimoni irregolarmente detenuti all’estero. Si tratta di un perfezionamento della precedente formulazione, recata dal dl 4/2014, rispetto alla quale amplia l’esclusione della punibilità per la maggior parte dei reati, introduce il tanto auspicato regime forfettario per la determinazione della redditività dei patrimoni di valore inferiore ai 2 milioni di euro e prevede, anche per le società, la regolarizzazione di violazioni commesse in ambito nazionale, la cosiddetta “voluntary domestica”. Resta tuttavia un testo perfettibile. Certamente sarebbero state auspicabili soglie più alte per l’applicabilità facoltativa del cosiddetto metodo forfettario. L’istituto avrebbe altresì avuto maggiore appeal se fosse stato previsto l’anonimato del contribuente nella fase preventiva di contraddittorio. Allo stesso modo, la norma appare incompleta nella protezione penale – si pensi alle ipotesi di soggetti collegati, che non scelgano di aderire alla procedura, nei cui confronti la voluntary si trasforma in una delazione – e nelle imposte regolarizzabili, restando escluse dalla regolarizzazione con riduzione delle sanzioni le imposte di successione e donazione.

Ci ricorda cosa la differenzia dalle precedenti esperienze?
La voluntary disclosure ha in comune con la disciplina dei cosiddetti “scudi fiscali” la finalità di favorire il rientro di capitali illegittimamente detenuti all’estero, con il riconoscimento di benefici sul piano sanzionatorio. Tuttavia, i due istituti sono molto diversi. Basti ricordare, senza pretesa di completezza, che la voluntary disclosure non prevede l’anonimato del contribuente – la cui identità è immediatamente resa nota all’amministrazione finanziaria, la quale è tenuta a informare la procura della Repubblica – riguarda necessariamente tutte le attività finanziarie formate o detenute all’estero – e non le sole somme o valore che il contribuente abbia interesse a regolarizzare e “rimpatriare” – e implica l’emersione di tutte le violazioni commesse nei periodi di imposta ancora accertabili. Ma la differenza più rilevante consiste nel fatto che la voluntary disclosure comporta il pagamento di tutte le imposte evase con relativi interessi, prevedendo una riduzione delle sole sanzioni e l’esclusione della punibilità per i principali reati tributari – oltre che di autoriciclaggio – mentre, come noto, nel caso degli scudi fiscali, il legislatore aveva previsto una imposta sostitutiva irrisoria, in luogo della tassazione ordinaria e delle relative sanzioni. I due istituti sono dunque ben distinti. La voluntary disclosure è più “severa” semplicemente perché non è un condono.

Quali passaggi del testo di legge, a suo avviso, andrebbero resi più chiari e perché?
Il testo è articolato e, come già precisato, rispetto alla versione mai convertita in legge, recata dal dl 4/2014, appare più completo. Tuttavia, il testo di legge pecca di chiarezza, specie nella parte relativa alla determinazione delle sanzioni dovute (si pensi alle diverse condizioni per usufruire delle riduzioni e alla difficile simulazione del cumulo giuridico) e dei periodi di imposta oggetto di regolarizzazione (che variano a seconda della natura della violazione e dei paesi di detenzione). La tecnica legislativa utilizzata (che prevede, come sempre, troppi rinvii normativi) e la peculiarità della materia comportano l’inevitabile interessamento di un consulente tributario fin dalla fase preventiva di valutazione dell’opportunità, escludendo che il contribuente possa effettuare da sé anche solo una stima del costo dell’operazione. In questo contesto, avrei certamente evitato di “condizionare” profili importanti (come la qualificazione di un paese nella cosiddetta “gray list”) all’eventuale stipula di accordi tra paesi “black list” e l’Italia, entro 60 giorni dall’entrate in vigore della legge. Ciò comporterà un’inevitabile paralisi dell’operatività della legge per questo lasso di tempo, considerato che la maggior parte dei patrimoni “regolarizzabili” è detenuta in cosiddetti paradisi fiscali.

Da osservatore, quante adesioni crede che possiamo aspettarci e perché? E con quali cifre, per le casse dello Stato e per le private bank che si stanno già preparando a intercettare questi flussi in entrata?

Non è facile prevedere quanti contribuenti aderiranno a questa procedura, così come, naturalmente, è impossibile stimare il valore dei patrimoni che saranno “regolarizzati”. Come professionista ho notato un fortissimo interesse per questo strumento. Mi ha sorpreso, in particolare, l’interessamento da parte di numerosissimi piccoli risparmiatori (con patrimoni anche inferiori ai 300.000 euro). Svelano una realtà poco nota, quella delle eredità familiari che negli anni ’80 o ’90 sono state “messe al sicuro” all’estero e che sono lì rimaste, inutilizzabili, fino ad oggi. Lo strumento è visto con molto più sospetto dai titolari di grandi patrimoni (dell’ordine di decine di milioni di euro) e dai soggetti che abbiano costituito o alimentati i patrimoni all’estero mediante evasioni commesse in epoca recente (periodi di imposta ancora accertabili).

Infine, alla luce di quanto finora emerso, lei che cosa consiglierebbe a un suo assistito, in questo momento?

Stiamo suggerendo, anche grazie alla fattiva collaborazione degli istituti finanziari italiani ed esteri – che hanno un contatto diretto con i contribuenti interessati – di valutare attentamente lo strumento fornito dalla legge. In linea generale, si tratta di una buona opportunità (forse l’ultima, anche se in questo Paese non si sa mai) per “riportare in Italia” capitali che, diversamente, rischiano di restare immobilizzati all’estero. Le nuove regole internazionali di trasparenza dei mercati finanziari, da un lato, i controlli fiscali più efficaci e mirati nonché, dall’altro, le sempre più severe sanzioni per i reati di riciclaggio suggeriscono di ponderare attentamente la detenzione e il trasferimento irregolare di capitali da e verso l’estero. Ogni posizione, tuttavia, deve necessariamente essere vagliata singolarmente insieme al proprio consulente, per comprendere il costo dell’operazione e la sua convenienza.

Sulla voluntary disclosure leggi anche lo speciale che uscirà sul numero di gennaio del mensile BLUERATING.

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