Lombardo (Assogestioni): i promotori, così lungimiranti

LA GEOGRAFIA DEL MERCATO – La consapevolezza di un importante traguardo raggiunto, ma anche la certezza di un cammino che non si può fermare. Giordano Lombardo (nella foto), presidente di Assogestioni, è “l’uomo seduto su 1.600 miliardi”, perché a tanto ammontano gli asseto oggi gestiti in Italia dai fondi comuni che l’associazione rappresenta. Sulla cima di questa montagna si è arrivati con trent’anni di camminata talora difficile, ma ininterrotta, per diffondere anche nel nostro Paese la cultura del risparmio gestito. Quell’investimento di lungo periodo che sarà anche al centro del Salone del Risparmio che si terrà a partire da domani, mercoledì 25 marzo, a Milano. Di tutti questi temi e di molto altro ancora, Lombardo ha parlato con BLUERATING.

Un’industria, quella dei fondi, che vale ormai 1.600 miliardi di euro. Come ci siete arrivati?
Ci lasciamo alle spalle un anno che ha visto l’industria del risparmio gestito raccogliere oltre 133 miliardi euro in dodici mesi, 92 dei quali nei soli fondi comuni. Un risultato che trova una sua spiegazione sia nell’andamento dei tassi di interesse che hanno ridotto ai minimi i rendimenti di strumenti come i conti di deposito, sia nelle nuove politiche di sviluppo delle banche, che hanno ritrovato interesse per i fondi comuni, sia nella fine del ciclo pluridecennale di crescita del mercato immobiliare. A questi dobbiamo aggiungere la capacità dimostrata dalla società di asset management di portare sul mercato, grazie alla sempre più stretta collaborazione con banche e reti di promotori finanziari, prodotti di qualità, innovativi e in grado di rispondere alle nuove esigenze dei risparmiatori finali.

Quali sono state le tappe più importanti di questa crescita durata 30 anni? Una corsa spesso scandita da alti-e-bassi di picchi di raccolta e picchi di deflussi…
Quando nel 1984 fu fondata Assogestioni, l’industria stava vivendo una fase di grande fermento sia a livello nazionale, sia internazionale. Già nei primi anni Ottanta in Italia il patrimonio dei fondi esteri autorizzati alla distribuzione nel nostro Paese aveva segnato un primo record superando la soglia dei 1.000 miliardi di lire. Ma è solo dal 1994, anno al quale risale la prima disciplina dedicata ai fondi chiusi immobiliari, che il settore ha conosciuto una significativa fase evolutiva. Nel 1996 il patrimonio dei fondi supera per la prima volta i 100 miliardi di euro. Nel 1997 gli asset raddoppiano e così anche nel ‘98, anno in cui il sistema mette a segno la miglior raccolta di tutti i tempi pari a 167 miliardi. Dodici mesi dopo il sistema raccoglie ancora 88 miliardi (il secondo record) e per la prima volta il patrimonio investito in fondi vola sopra la quota dei 537 miliardi di euro. Nel corso dello stesso anno viene lanciato il primo fondo immobiliare, ben 5 anni dopo l’approvazione della legge che li aveva istituiti. Il periodo che va dal 2000 al 2007 ha visto una progressiva sostituzione tra prodotti italiani ed esteri. Nel 2003 l’associazione comincia a rilevare anche l’andamento dei mandati istituzionali e retail, offrendo al sistema una fotografia più completa delle attività dell’industria. In un contesto di relativa stabilità il patrimonio raggiungerà all’inizio del 2005 un patrimonio di oltre 1.000 miliardi di euro. Dalla seconda metà del 2007 però l’industria ha dovuto fare i conti con i riflessi negativi della crisi finanziaria e di quella del debito sovrano, esplosa nel 2011. Fino al secondo semestre del 2012 quando è partita la ripresa dell’industria.

Qual è il ruolo che hanno avuto e possono ancora avere i promotori finanziari nella crescita del risparmio gestito?
I fondi comuni in questi 30 anni hanno cambiato radicalmente la gestione del risparmio degli italiani e migliorato la cultura finanziaria del Paese. Sono strumenti semplici che hanno insegnato il valore del risparmio, grazie anche al contributo del mondo delle reti che hanno fin da subito creduto in questi prodotti. Non solo. Grazie alla lungimiranza dei promotori finanziari di aprire la distribuzione anche a prodotti terzi l’Italia ha registrato in questi anni l’ingresso di numerosi player esteri, questo ha reso l’industria dei fondi comuni nostrana particolarmente competitiva e favorito un innalzamento del livello qualitativo dell’offerta.

Tassazione sulle rendite finanziarie, inasprimento dell’aliquota sui fondi pensione, eccetera. Si ha l’impressione che l’attuale governo concepisca il risparmio degli italiani solo come vacca da mungere.
Il tema fiscale è un tema delicato, e non solo per quanto riguarda il mondo del risparmio gestito. Viviamo in un momento storico in cui le priorità dei governi cambiano di continuo e i temi in discussione sono molti e spesso di carattere urgente. Non credo però che l’industria sia penalizzata fiscalmente, non mi sento in questo senso accerchiato. È però necessario salvaguardare il risparmio delle famiglie in quanto risorsa strategica per la crescita. Una crescita che può essere favorita dall’industria dell’asset management.

L’investimento in fondi è, per sua natura, di lungo periodo. Come riuscire a collegare i capitali privati alla possibilità di una crescita economica? A che punto sono i Piani individuali di risparmio?
Continuiamo a sostenere che sarebbe opportuno favorire lo sviluppo di strumenti di lungo periodo, come i Piani Individuali di Risparmio, per creare quel legame tra risparmio e investimenti che ancora manca in Italia. D’altronde gli Oicr sono ormai stati individuati, sia a livello europeo, sia a livello nazionale, come il veicolo più idoneo per finanziare gli investimenti nelle imprese e per sostenere l’economia reale. Si tratta però di una sfida complessa che richiede ai gestori una capacità di coniugare la salvaguardia dei risparmiatori con la necessità di affrontare la gestione di lungo periodo, fondamentale quando si parla di sostegno alle imprese. Regolatori e legislatori, invece, dovranno impegnarsi nell’individuare un contesto favorevole, anche dal punto di vista fiscale. A livello europeo qualcosa si sta già muovendo, in particolare con gli Eltifs, uno strumento finanziario importantissimo per l’Unione europea dal momento che consentirà di canalizzare su nuovi prodotti una domanda di investimento in prestiti e loans che oggi non è possibile inserire negli Ucits tradizionali.

I fondi sono investitori istituzionali, Recentemente l’“Economist” ha dimostrato come negli Stati Uniti i cosiddetti fondi “attivisti” contribuiscano – e non poco – a migliorare la performance delle società. Di “attivismo” dei fondi in Italia se ne vede poco, o sbaglio?
Comincerei subito facendo una distinzione tra l’attivismo tipico degli hedge fund e l’impegno dei fondi italiani. In questo senso non credo che i fondi in Italia possano essere accusati di mancanza di iniziativa. Dai primi interventi nelle assemblee di alcune società quotate, negli anni Novanta, sono stati fatti numerosi passi avanti dalle sgr che oggi, grazie al Comitato dei gestori, un organo a geometria variabile composto da rappresentanti delle associate e da un numero crescente di investitori istituzionali italiani o esteri, può vantare risultati significativi in termini di candidati di minoranza eletti nei vari consigli delle società quotate. Dati alla mano, dal 2007 a oggi l’attività delle sgr è aumentata notevolmente e il numero di liste presentate è quintuplicato. Nel 2014 i componenti del Comitato dei gestori hanno depositato 27 liste per l’elezione o la cooptazione dei candidati di minoranza in 17 società quotate. Sono stati eletti ben 34 dei 36 candidati presentati. Per quanto riguarda, invece, il collegio sindacale, il Comitato dei gestori ha presentato 12 liste in 12 società quotate ottenendo l’elezione di 25 candidati su un totale di 26 presentati. Non mi sembrano numeri di fondi poco “attivi”.

Quanto, come e dove i fondi comuni hanno contribuito a migliorare la “corporate governance” delle società italiane quotate, a lungo nella gabbia dei patti di sindacato? Voto di lista e protocollo di autonomia?
Quando parliamo di corporate governance è importante chiarire, innanzitutto, il ruolo dell’associazione. Il compito di Assogestioni è quello di predisporre e rendere disponibile agli associati e agli investitori istituzionali che operano in Italia delle linee guida per svolgere l’attività di governance. Tali linee guida diventano utili per le sgr chiamate a selezionare e proporre dei candidati da nominare nelle liste di minoranza delle varie società quotate di cui parlavo prima. Ma non è Assogestioni a votare. Come associazione diamo la possibilità a gestori italiani ed esteri di coordinarsi e confrontarsi per partecipare alle assemblee ed esercitare i propri diritti di governance. E lo facciamo indicando principi di autoregolamentazione che possano aiutare i gestori a svolgere al meglio la loro attività e, di riflesso, contribuire anche a un miglioramento della corporate governance. Va in questa direzione, ad esempio, la diffusione del documento di autoregolamentazione “Principi italiani di stewardship” adottato dal Consiglio direttivo di Assogestioni e rivolto alle società che prestano i servizi di gestione collettiva del risparmio o di gestione di portafogli: nel documento sono contenuti principi allineati a quelli pubblicati da Efama.

Il governo ha varato due provvedimenti (voto maggiorato e voto plurimo). Gli investitori internazionali sono insorti – e pure Assogestioni – lamentando che si tratta di meccanismi che favoriscono alcuni soci. Ma in altri Paesi sono praticati…
Apprezziamo la recente decisione del Governo di non dare alcuna proroga al termine scaduto il 31 gennaio per far approvare dalle assemblee societarie in modo agevolato con la maggioranza semplice le modifiche statutarie necessarie a introdurre il voto plurimo o maggiorato. Ma la nostra opinione sulla scarsa efficacia dei due nuovi istituti (voto maggiorato e voto plurimo) rimane, dal momento che scardinano il principio del one share-one vote. Dal Report on the Proportionality Principle in the European Union, che contiene l’esito di uno studio commissionato dall’Unione europea nel 2007, le azioni a voto plurimo e quelle a voto maggiorato creano nella maggior parte dei casi una distorsione tra la proprietà e il potere di voto.

Qual è la funzione del Salone del Risparmio? E quali sono i prossimi obiettivi di questa manifestazione?
Il Salone ha tra i suoi obiettivi ha il compito di consolidare ancora di più il rapporto che c’è tra l’industria del risparmio, il Paese e l’economia reale. La manifestazione di quest’anno è intitolata “Il Nuovo Risparmio. Come comprenderlo, come gestirlo”. Analizzeremo l’evoluzione economicofinanziaria, che ha inciso sul cambiamento delle abitudini di risparmio degli italiani e sul lavoro dei professionisti del settore, sempre di più chiamati a costruire nuovi strumenti e soluzioni d’investimento, per capire quali sono le proposte e le soluzioni per rafforzare il binomio finanza e sviluppo. Saranno il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan e l’ex cancelliere della Repubblica Federale Tedesca Gerhard Schröder a inaugurare, il 25 marzo, la sesta edizione de Il Salone del Risparmio 2015. In particolare Schröder racconterà, attraverso la sua personale esperienza politica, il percorso decisionale e le riforme economiche che hanno permesso alla Germania di affrontare l’attuale congiuntura economica.

Visti gli scenari dei mercati finanziari, che previsioni si sente di fare per il 2015 del risparmio gestito in Italia a livello di raccolta?
Come associazione non siamo amanti delle previsioni, ma posso dirle che anche per il 2015 siamo ottimisti. Il contesto macroeconomico è ancora caratterizzato da un livello di tassi di interesse così ridotti che sarà quasi inevitabile per gli investitori valutare l’ipotesi di veicolare i propri risparmi verso strumenti diversi rispetto alle scelte del passato. Già nel corso del 2014 abbiamo visto una riduzione degli investimenti in titoli di Stato e immobili a favore di strumenti come i fondi comuni. Questo trend riteniamo possa continuare anche nei prossimi anni. La vera sfida non sarà la raccolta, ma riuscire a condurre gli investitori verso nuove soluzioni di investimento che comprendono anche l’utilizzo di asset class innovative e meno liquide.

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