Lemanik: la crescita globale è in affanno

LONTANI DAL RECUPERO. La crescita globale tenderà a rallentare e lo stesso dicasi per l’Europa. La sola differenza è che ci arriverà con un ritardo di sei mesi. A spiegare gli scenari macroeconomici e le strategie di investimento in un workshop a Milano ad un’ampia platea di investitori e professionisti del risparmio è Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy fund (nella foto a destra). L’esperto, in modo molto chiaro, sintetizza il contesto attuale: “il quadro è molto complicato per la crescita con le banche centrali che vanno in ordine sparso e non mi sembrano stiano agendo in modo saggio. Il recupero del ciclo sicuramente non ci sarà. Il dollaro rimarrà strutturalmente debole mentre l’euro rischia di avere un rialzo indesiderato. L’oro ha iniziato una nuova fase di bull market e i mercati azionari americani continuano su livelli poco sostenibili». Basta guardare ai numeri. La crescita globale sul pil è intorno a un 2,5% mentre ai periodi di espansione, che posiziona la crescita intorno al 4%, non si è mai arrivati, se non in momenti brevi. E dalla crisi del 2007 si è perso un punto di pil nel mondo. Ma perché stiamo rallentando quando tutto il mondo pensava che il ciclo avrebbe potuto solo migliorare? “Il primo motivo è il deleveraging in Cina, il secondo è quello dei mercati emergenti, il terzo è l’andamento dei corporate bond e il quarto è stato l’incerto comportamento della Fed”, precisa Novelli. E aggiunge: “il recupero economico della seconda metà dell’anno, che gli investitori scontano ormai sistematicamente da tre anni, non è garantito. I meccanismi alla base del rallentamento, in corso dal 2015, non sono fenomeni di breve periodo perché si basano su fattori di natura strutturale. In particolare i mercati emergenti dopo la crisi del 2008 hanno impresso una forte spinta al credito e alla crescita per cercare di contrastare il deleverage in corso in Europa e in Usa. Grazie a questo stimolo, guidato dalla Cina, il mondo ha evitato di ricadere in recessione ma è rimasto ancorato alla crescita cinese e agli stimoli americani per cercare di sfuggire a una stagnazione globale». Inoltre, le recenti politiche della Fed, che tendono a rialzare i tassi, hanno impresso una rivalutazione della moneta americana con conseguenti danni all’indebitamento in dollari dell’area degli emergenti che hanno iniziato ad adottare significative svalutazioni monetarie, inducendo l’aumento del costo del debito. Nell’agosto scorso la Cina ha abbandonato il cambio fisso con il dollaro e la fase di deleverage dell’economia cinese si è aggiunta a quella in corso in tutta l’area.

INDICI DI RIBASSO SULLE PRINCIPALI ECONOMIE – L’attività manifatturiera è in fase di debolezza strutturale del ciclo e la situazione di stagnazione si vede anche nella dinamica del commercio internazionale in termini di volumi (non influenzato dalla dinamica dei cambi). “Da quando abbiamo cominciato a svalutare l’euro, l’area è peggiorata. Stessa cosa per i mercati emergenti: le loro divise hanno subito svalutazioni del 25% e questo è il risultato dell’export, che non si risolve con le svalutazioni competitive”. Forse si stanno facendo errori di politica monetaria? “I mercati hanno creduto che le banche centrali avrebbero risolto i problemi stampando moneta così sono cresciute le propensioni al rischio, senza ragione. Gli Usa hanno continuato a rassicurare sui loro dati ma vi hanno detto bugie perché le condizioni finanziarie sono peggiorate. Il petrolio non centra niente in tutto questo. Il punto è che la Fed guarda a indicatori per prendere decisioni come la curva di Philips che però funzionava 25 anni fa, prima della globalizzazione”. Infine, un commento sull’equity. “La maggiore domanda di azioni è il riacquisto di azioni proprie da parte delle corporate americane (buyback). In realtà se si guarda agli indici, sia Usa sia Europa, non c’è tutto questi dinamismo, nemmeno nei confronti dell’Eurostoxx, nonostante tratti così a sconto.

NON SI ESCLUDE UNA RECESSIONE NEI PROSSIMI DUE ANNI – Secondo Fabrizio Biondo, gestore del fondo Lemanik Active short term credit, in caso di una nuova recessione, “la cui probabilità sta aumentando per i prossimi due anni, le banche centrali potrebbero utilizzare misure sempre più spregiudicate, inclusa la cancellazione del debito pubblico detenuto o il trasferimento a pioggia di denaro al settore privato (“QE for the people”), mentre tassi di riferimento molto negativi appaiono meno probabili per le distorsioni indotte dentro il sistema finanziario. Le conseguenze sui mercati tradizionali sarebbero molto pesanti, imponendo un ricorso sempre maggiore a investimenti alternativi e a investimenti protettivi contro scenari estremi”. Il debito è aumentato dal 2008 a oggi di 90 trilioni di dollari e ora si aggira intorno ai 230 trilioni come effetto delle mosse delle banche centrali. Del resto il debito è un obiettivo di politica macroeconomica. Perché? “Perché dal 1980 alcuni fattori strutturali sono al lavoro per imprimere una decelerazione al trend di crescita, fatto che le autorità non hanno mai accettato. A cosa serve tutta questa liquidità quindi? Non più a stimolare attività privata ma a stabilizzare le finanze pubbliche e consentirgli di espandere il debito e cercare di tenere la crescita a livelli più alti di quelli che il sistema potrebbe reggere. Sta di fatto che nel mondo c’è un eccesso di risparmio dato dai trend demografici, distribuzione diseguale del reddito, cambiamento politiche adottate dalle banche centrali emergenti”, spiega Biondo. Il gestore si dice positivo nei confronti dei fondi alternativi tra long short e global macro “che hanno basse correlazioni con la altre asset class e starei soprattutto su investimenti in beni fisici, tra real estate (i tassi restano bassi) e darei poco spazio agli investimenti illiquidi, mi fa paura il private equity”.

RIPRESA SUL MERCATO ITALIANO – Sul fronte del mercato italiano, Stefano Andreani, gestore azionario Italia di Lemanik, ritiene che, seppur all’interno di un contesto macro globale complicato, si stia vivendo una fase di ripresa, dopo i crolli avvenuti durante la recessione. “L’Italia si trova in una fase del ciclo interno ancora molto giovane. Del resto, il 2016 sarà solo il secondo anno di crescita positiva, anche se lenta, dopo anni di recessione. I consumi e gli investimenti sono in fase di crescita ma con molto spazio di miglioramento”. In questo scenario, per costruire una valida strategia nell’equity Italia, occorre attuare “un approccio attivo con la selezione delle migliori idee di investimento all’interno di un universo investibile più ampio; una costante esposizione a società di qualità con valutazioni ragionevoli, capaci di sfruttare la forza del proprio posizionamento e business model per generare utili e, infine, un approccio dinamico, in grado di sfruttare la volatilità per cogliere le opportunità che brusche inversioni di sentiment in un senso o nell’altro possono creare” conclude. L’asset class azionaria anche nelle fasi più volatili, secondo l’esperto, conserva un elevato grado di liquidità e permette quindi di avere un approccio dinamico e attivo.

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