La crescita arranca ancora, nessuna svolta in vista

Negli ultimi tempi, i mercati finanziari si sono concentrati soprattutto sulla crescita del PIL nei paesi avanzati e sulle speranze di nuovi interventi delle banche centrali in grado di stimolare l’attività economica. In effetti, pare che nel secondo trimestre la crescita del PIL a livello globale si sia attestata su livelli inferiori alle attese, mentre anche il prezzo del greggio ha fatto registrare una notevole flessione. Le banche centrali di alcune importanti economie mondiali paiono intenzionate a varare nuove misure di stimolo in autunno, ma non riteniamo che ciò sarà sufficiente a dare una spinta decisiva alla performance congiunturale, ha spiegato Reinhold Knaus, Economista Senior, Multi Asset Solutions di Bnp Paribas IP.

CRESCITA ECONOMICA MONDIALE: UN SECONDO TRIMESTRE FIACCO

I dati del PIL a livello globale per il secondo trimestre non mostrano una sensibile accelerazione dell’economia. In particolare, tra i paesi del G7 la Gran Bretagna ha fatto segnare l’espansione più rapida. Le stime preliminari della crescita del PIL nell’area euro indicano come nel secondo trimestre essa sia rallentata della metà rispetto al primo trimestre con sensibili differenze tra i vari stati membri. L’ostacolo principale è stato il calo della domanda di beni di consumo ‒ le vendite al dettaglio hanno ristagnato in giugno e, in totale, hanno fatto registrare una forte frenata del ritmo d’incremento. Pertanto, le stime di crescita dell’area euro per il secondo trimestre potrebbero subire ulteriori correzioni al ribasso, come lasciano intuire i dati modesti relativi alla produzione industriale in Italia e Germania.

In Corea del Sud, la crescita del PIL ha accelerato nel secondo trimestre grazie all’aumento della spesa pubblica mirato a ridurre la dipendenza dell’economia nazionale dalle esportazioni. Gli andamenti registrati nelle aree emergenti in luglio mostrano un quadro eterogeneo ma, nel complesso, caratterizzato da un lieve miglioramento rispetto a una mera stabilizzazione. Ad esempio, l’aumento della spesa pubblica e degli investimenti in infrastrutture ha favorito un’accelerazione del PIL in Indonesia, mentre in Messico la crescita ha rallentato. I PMI pubblicati nei paesi emergenti per il mese di luglio si sono rivelati contrastanti. Per quanto riguarda il blocco dei cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), il PMI dei servizi ha fatto segnare un miglioramento in tutti i paesi, mentre il PMI manifatturiero ha continuato a segnalare alcune difficoltà riconducibili all’andamento fiacco degli scambi commerciali internazionali.

CRESCITA DEL PIL USA: MEGLIO DI QUANTO SEMBRI

 
Negli USA, i dati preliminari relativi alla crescita del PIL nel secondo trimestre hanno fatto slittare sino alla metà del 2017 le attese relative a un rialzo dei tassi. In un primo momento, i mercati hanno sottovalutato gli effetti di questi dati. Tuttavia, le ultime cifre rilevate sul mercato del lavoro hanno corretto questa reazione anche perché in seguito è stata pubblicata una revisione al ribasso dei dati preliminari di crescita del PIL riconducibile principalmente all’andamento sfavorevole delle scorte di magazzino per cinque trimestri consecutivi. Senza questa penalizzazione, la crescita del PIL degli USA nel periodo in esame si sarebbe attestata su un tasso superiore al ritmo potenziale. I consumi hanno rappresentato il punto di forza ‒ registrando una forte crescita ‒ ma gli investimenti societari sono risultati nuovamente inferiori alle attese e gli ultimi dati relativi ai beni durevoli non segnalano ancora un’inversione di tendenza. I PMI pubblicati negli USA lasciano presagire un proseguimento della crescita che, in base alle nostre previsioni, dovrebbe accelerare nella seconda parte dell’anno anche grazie al miglioramento del ciclo delle scorte e dei conti nel settore energetico. Il mercato immobiliare – sia per le case di vecchia che di nuova costruzione – resta solido, con un discreto aumento dei prezzi delle abitazioni. Inoltre, pare che le imprese in generale stiano assumendo e ciò dovrebbe compensare i timori legati a un aumento dei rischi di recessione. Tuttavia, la combinazione tra crescita debole e creazione elevata di nuovi posti di lavoro potrebbe rappresentare un segnale di flessione della crescita tendenziale e, dunque, bisogna continuare a monitorare attentamente l’evoluzione degli investimenti societari.

EUROPA: LA SITUAZIONE DOPO IL REFERENDUM BRITANNICO

Lo shock provocato dall’esito del referendum britannico sulla permanenza nell’UE si sta attenuando e i mercati finanziari stanno tornando rapidamente alla normalità. Si tratta di un andamento positivo, poiché riduce il rischio di trasmissione delle turbolenze attraverso il canale finanziario. Tuttavia, permangono le forti incertezze legate alle conseguenze pratiche della Brexit.

Il Regno Unito ‒ dopo aver registrato una crescita del PIL relativamente robusta nel secondo trimestre ‒ si trova di fronte al pericolo di una recessione. A nostro avviso, il taglio dei tassi deciso dalla Bank of England il 4 agosto dovrebbe avere degli effetti positivi sul clima di fiducia. Nel complesso, tuttavia, una brusca frenata dell’attività economica pare probabile. In prospettiva, il fattore chiave resta la rapidità della stabilizzazione post-referendum. Quanto più graduale sarà il rallentamento dell’economia britannica, tanto maggiori saranno le probabilità che il paese eviti la recessione e, al contempo, gli effetti negativi per l’area euro.

Malgrado l’esito sfavorevole del referendum in Gran Bretagna, le indagini congiunturali nell’eurozona hanno rilevato dati superiori alle attese. Il PMI composito per l’insieme dell’area si è lievemente indebolito, ma per il terzo trimestre fa supporre ancora una crescita simile a quella del secondo. Un’eventuale decelerazione della crescita nella zona euro dipende dal ritmo del rallentamento economico nel Regno Unito. Una frenata temporanea pare probabile, ma senza conseguenze più serie. Infine, in giugno l’espansione del credito è risultata debole, ma rappresenta ancora uno stimolo positivo per l’economia reale riconducibile alle politiche della BCE.

BANCHE CENTRALI: FINALMENTE UNA SORPRESA POSITIVA

Il comunicato della Federal Reserve dopo la riunione di luglio del FOMC – pubblicato prima della diffusione degli ultimi dati su PIL e mercato del lavoro – non ha offerto grandi sorprese. Gli economisti della banca centrale prevedono un calo dei rischi a breve, rendendo dunque più probabile un nuovo rialzo dei tassi. Inoltre, le valutazioni relative a una crescita discreta e al rafforzamento del mercato del lavoro sono risultate in linea con i dati pubblicati in seguito. A nostro avviso, la Federal Reserve continuerà a innalzare i tassi in modo molto graduale, prestando sempre grande attenzione agli andamenti dell’economia reale. Nella riunione di luglio, il consiglio direttivo della BCE, in linea con le previsioni, ha adottato un atteggiamento attendista. La banca centrale ha confermato che sta monitorando le conseguenze potenziali della Brexit in attesa di pubblicare in settembre le proiezioni in materia di PIL e inflazione e non esclude ulteriori interventi in autunno.

I mercati finanziari sono stati delusi dalle ultime misure di allentamento annunciate a luglio dalla Banca del Giappone. Tuttavia, la banca centrale ha comunicato l’intenzione di riesaminare la politica monetaria in occasione della riunione a essa dedicata prevista per settembre. È dunque probabile che l’istituto possa avviare un’audace revisione della politica monetaria entro la fine dell’anno. Per il momento, la Banca del Giappone non ha modificato l’obiettivo di inflazione pari al 2%, sottolineando che la politica monetaria non ha ancora esaurito i margini di manovra anche se l’istituto pare sempre più esitante ad accentuare i tassi negativi. Inoltre, il governo ha annunciato le caratteristiche specifiche di un massiccio pacchetto di incentivi fiscali. Questo aumento reale della spesa pubblica dovrebbe iniziare a stimolare la crescita in Giappone a partire dal quarto trimestre. Ad ogni modo, intendiamo aspettare sino all’autunno per riscontrare se il coordinamento tra le politiche monetarie e fiscali riuscirà a mitigare gli effetti negativi della forza della valuta sull’economia nipponica.

Infine, la Bank of England, nel tentativo di contrastare l’acuirsi delle incertezze consolidando la fiducia nelle prospettive di lungo periodo, ha sorpreso i mercati finanziari tagliando il tasso di riferimento principale il 4 agosto, portandolo ai minimi storici. Inoltre, la banca centrale di Londra ha destinato nuova liquidità all’acquisto di obbligazioni e ha lanciato un programma di finanziamento destinato alle banche provvisto di fondi ingenti. La Bank of England ha comunicato che tollererà un superamento dell’obiettivo di inflazione per i prossimi 2-3 anni e che è pronta ad assumere nuove iniziative. Pertanto, a nostro avviso pare abbastanza probabile un’ulteriore riduzione dei tassi di riferimento sino a sfiorare lo zero.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: ACCENTUATO IL POSIZIONAMENTO DIFENSIVO

Negli ultimi tempi, bisogna mettere in rilievo che gran parte degli strumenti finanziari ha beneficiato della dinamica del mercato. Tale andamento pare riconducibile alla ricerca degli investitori di impieghi remunerativi e alle attese di nuove misure di stimolo da parte delle banche centrali e di un prolungamento della pausa del ciclo di rialzo dei tassi della Federal Reserve. La rinnovata fiducia nelle politiche monetarie contrasta con le valutazioni prevalenti all’inizio dell’anno tra gli operatori di mercato di una progressiva perdita di efficacia delle misure di allentamento quantitativo. Al momento, le ponderazioni detenute dagli investitori nel comparto azionario paiono un po’ troppo elevate. Infatti, malgrado il nostro ottimismo, il ritmo della crescita economica globale risulterà probabilmente mediocre. Gli utili pubblicati sinora dalle imprese sono stati superiori alle attese, ma bisogna considerare che le stime degli analisti si collocavano su livelli modesti. Nell’area euro, è probabile che la crescita venga frenata dalle incertezze legate alla Brexit e dal ristagno dell’inflazione su bassi livell, che continua a pesare negativamente sui profitti delle imprese. In Giappone, la delusione dei mercati per le misure varate dalla banca centrale e la forza dello yen hanno creato delle difficoltà per i profitti delle aziende. Inoltre, nel breve periodo non intravediamo ancora alcun miglioramento sostanziale della crescita dei paesi emergenti, penalizzati in molti casi da un pesante indebitamento e dall’instabilità politica.

Nelle ultime settimane, i mercati azionari hanno consolidato le quotazioni su livelli elevati. La volatilità è diminuita, ma gli indici non hanno registrato forti rialzi. In questo contesto, abbiamo accentuato il sottopeso nel comparto azionario, in particolare in Europa. Attualmente, l’aumento dei prezzi al consumo resta lento, ma i mercati non paiono preoccuparsene. Abbiamo assunto una posizione lunga sui titoli indicizzati all’inflazione, compensando poi l’esposizione in termini di duration attraverso la vendita di titoli nominali. Inoltre, abbiamo mantenuto il sottopeso nel debito emergente in valuta forte e la sottoesposizione verso il mercato delle materie prime. Infine, nel comparto obbligazionario privilegiamo gli Stati Uniti rispetto all’Europa sia per quanto riguarda i titoli di Stato che le obbligazioni societarie investment grade.

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