Obbligazionario trigger per l’azionario

Si è scritto molto in merito alle elevate valutazioni dei bond, tuttavia pochi sembrano essere consapevoli delle capacità predittive del mercato obbligazionario sull’andamento dell’azionario nelle fasi di inversione dei trend.

L’ATTUALE BULL MARKET– Il processo disruptive di sviluppo tecnologico, che attualmente trova massima espressione nella robotica e nelle applicazioni di intelligenza artificiale, e la disponibilità di credito, negli ultimi anni legata alle manovre espansive delle banche centrali, storicamente sono stati i due fattori comuni alle principali fasi di mercato rialzista. Al contrario l’elemento più anomalo del contesto corrente, definito dalla Fed come vero e proprio “mistero”, risiede nella sostenuta crescita in assenza di inflazione.

INFLAZIONE E CICLI ECONOMICI-  Prima del 1949 le fasi di espansione erano chiaramente associate a periodi di rialzo dei prezzi, mentre quelle di contrazione a fenomeni di deflazione. A partire dal 1949 gli investitori si sono trovati a dover fronteggiare costantemente l’inflazione, per scoprire, a partire dagli anni Sessanta, che periodi di rallentamento economico non avrebbero portato ad un ribasso dei prezzi.

INFLAZIONE SOTTOSTIMATA – A fronte della condivisione delle prospettive di crescita formulate dalla maggior parte degli operatori risulta realistico ipotizzare uno scenario di mancata deflazione. L’attuale rialzo del petrolio, se confermato nei prossimi mesi, inciderà sulle dinamiche dei prezzi nel medio e lungo termine, tuttavia già i più innovativi sistemi di rilevamento dell’inflazione, effettuati attraverso il calcolo dei prezzi presenti su internet, come ad esempio quello elaborato da State Street in collaborazione con il MIT, quantificano negli ultimi mesi un’inflazione superiore a quella delle statistiche ufficiali, per questo è ipotizzabile una normalizzazione dei tassi nominali.

BOND VS AZIONI –  Il mercato obbligazionario tende ad anticipare gli eventi macroeconomici meglio dell’azionario. Come ricordato da Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy, nella newsletter del febbraio 2015, il rendimento sul treasury decennale nel marzo del 1987 iniziò a salire ed in sei mesi passò dal 7,5% al 9,5%; l’equity ignorò le notizie provenienti dall’obbligazionario, fino a quando il 19 ottobre del 1987 l’Indice Dow Jones perse il 22,6%. Il rialzo dei tassi dal 4,6% del gennaio 1999 al 6,6% del gennaio 2000 non venne considerato dall’azionario per oltre un anno fino a quando, dal settembre del 2000, prese avvio la correzione dei mercati. Dal giugno del 2007 al marzo 2008 il rendimento sul treasury passò dal 5% al 3,5%, sebbene le prospettive economiche fossero positive e l’indice S&P 500 rimase vicino ai suoi massimi fino alla fine del 2007. “Nello stesso periodo il tasso tendenziale d’inflazione continuava a salire per toccare i suoi massimi all’inizio del 2008, quando la crisi finanziaria era già in pieno svolgimento. L’azionario iniziò a precipitare nel giugno del 2008 prendendo atto che l’economia era sostenuta da una bolla di credito”, scriveva Novelli. Gli interventi delle banche centrali distorcono l’andamento dei mercati tuttavia, nonostante la forte liquidità ancora presente, dal 31 luglio 2016 al 10 novembre 2017 i rendimenti di treasury e bund decennali sono saliti rispettivamente dall’1,4% al 2,4% e dal -0,12% al 0,41%. Al contrario l’azionario, in tutte le aree geografiche, continua a rimane sui massimi.

LA RIDUZIONE DI BILANCIO DELLA FED DOPO LA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE – Come scritto da Russell Napier nello splendido “Anatomy of the Bear”, edito da Harriman House, “dall’attacco di Pearl Harbor al giorno della vittoria degli Stati Uniti sul Giappone, il credito erogato dalla Fed salì da 2,3 a 22,9 miliardi di dollari, circa sei volte superiore all’ammontare antecedente lo scoppio della Guerra ed inferiore del 32% rispetto al picco registrato nel 1920. La prospettiva di riduzione del bilancio della Fed (che si verificò solo in parte nel corso del 1948) portò ad un bear market sull’azionario tra il 1946 ed il 1949, nonostante il raddoppio degli utili societari“. Attualmente le ripetute comunicazioni rassicuranti da parte della Fed hanno evitato che il mercato scontasse pienamente la riduzione del bilancio in corso di attuazione.

BEAR MARKET 1899 – 1921 – Gli effetti sull’equity derivanti da una correzione dei bond hanno numerosi richiami storici. Ad esempio, uno dei più lunghi bear market dell’obbligazionario dello scorso secolo contribuì, in maniera rilevante, al calo di oltre il 40% del Dow Jones Industrial Average verificatosi dall’autunno del 1919 al dicembre del 1920.

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