Governo a muso duro con le banche

Tra gli elementi che andranno a comporre il “tesoretto” necessario alla prossima manovra, al di là delle discussioni sull’incremento del deficit, il governo ha previsto di ricavare un miliardo di euro quella che dovrebbe essere la riduzione dal 100 all’86% delle deducibilità degli interessi passivi. A riportarlo è un articolo di Andrea Pira su MF del 5 ottobre che evidenzia la diffidenza che una parte della maggioranza e del mondo pentastellato cova verso gli istituti di credito.

Aumentare la pressione fiscale sulle banche rischia tuttavia di rallentare e indebolire la crescita, ha messo in guardia il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Crescita che il governo, come scrive il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nella lettera all’Unione europea di presentazione della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, prevede sarà all’1,5% il prossimo anno (superiore a qualsiasi altra stima), all’1,6% nel 2020 e all’1,4% nel 2021. Gli istituti sono rimasti spiazzati dalle indicazioni emerse sulla manovra. Non soltanto gli interventi sulle deduzioni degli interessi passivi, ma anche l’allungamento su più anni delle perdite legate alla svalutazione dei crediti deteriorati. “Non si tratta della riduzione o delle rimozione dei agevolazioni, ma di un costo di produzione”, ha ribadito il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini. Altro rischio: si potrebbe creare disparità con i concorrenti europei. Se attuate le misure andranno inoltre a incidere sul costo del credito, in un Paese nel quale, come ricordato dal direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi il peso delle banche continua a essere il 19% del totale delle passività d’impresa.

Una mano tesa verso l’esecutivo, continua Pira, arriva però da Intesa Sanpaolo. Il ceo Carlo Messina ha garantito che l’istituto non cambierà atteggiamento verso i titoli di Stati, ma “il legame con l’economia del Paese» si svilupperà con gli impieghi”.

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