Gestori al vostro servizio

Parigi, Londra, Tokyo, Boston, Dublino e Milano. Ecco sei metropoli distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra, molto diverse tra loro per storia e tradizioni ma che, da un po’ di mesi a questa parte, hanno qualcosa che le accomuna. Tutte e sei sono diventate i principali hub di gestione del gruppo francese Amundi, leader europeo dell’asset management che lo scorso anno ha scalato la classifica del mercato italiano, diventando il terzo player nazionale grazie all’acquisizione di Pioneer Investments, la sgr del gruppo UniCredit. Il top management di Amundi non ha trattato la Penisola come un terreno di conquista e infatti, dopo quell’importante operazione,  Amundi si è dotata di una nuova e moderna  sede in pieno centro a Milano, tra i quartieri di Brera e Porta Nuova, e l’ha trasformata in un polo di eccellenza di tutto il gruppo per le gestioni multi-asset e per il segmento delle small e mid cap europee, le società a piccola e media capitalizzazione del Vecchio Continente, per i Pir, per i fondi italiani di private equity, private debt e real estate.  È lì, in uno dei 6 centri nevralgici della galassia di Amundi, che da qualche mese si è spostato pure Paolo Proli (nella foto), 43 anni, trentino di nascita da famiglia romagnola e ormai milanese d’adozione da quasi quattro lustri. Dentro il gruppo transalpino, Proli lavora dal lontano 2002, quando ancora la società aveva un altro nome e si chiamava Credit Agricole Asset Management. Lui oggi è diventato un top manager e ricopre la carica di Intervista a Paolo Proli, head of retail distribution di Amundi Sgr, “ma”, dice, “credo proprio di aver conservato la stessa passione e lo stesso entusiasmo di quando ho iniziato”. Ha cominciato con  la gavetta, girando in lungo e in largo tutta la Penisola per far conoscere alle reti di consulenti finanziari e alle banche, piccole e grandi,  le soluzioni d’investimento della sua società. “L’Italia l’ho conosciuta così, viaggiando per lavoro”, dice Proli, che in questa intervista ad ASSET CLASS delinea gli scenari futuri dell’industria del risparmio gestito. È un settore in cui, a suo dire, i maggiori player del mercato dovranno trasformarsi sempre più in fornitori di servizi,uscendo dal ruolo tradizionale esclusivo di gestori specializzati.

Il  primo semestre dell’anno, per il settore dell’asset management italiano, è stato tutt’altro che esaltante con flussi di raccolta in calo rispetto al 2017. Le società di gestione devono preoccuparsi?

 E’ innegabile che il mercato abbia subito nei mesi scorsi un rallentamento. Un fattore determinante è stato senza dubbio il ritorno della volatilità sulle maggiori piazze finanziarie, compresa quella italiana. Il che ha ovviamente spaventato gli investitori e ha pesato negativamente sulla raccolta, come è sempre avvenuto in situazioni analoghe anche in passato. Tuttavia, per i mesi a venire sono cautamente ottimista. È difficile che nel 2018 tornino i ritmi di crescita del 2017 ma, visto che i mercati si stanno normalizzando, credo che nell’ultima parte dell’anno la raccolta sarà migliore rispetto al recente deludente periodo estivo.

Su quali prodotti state puntando?

 Innanzitutto abbiamo scelto di essere un po’ contrarian rispetto al mercato. Abbiamo infatti lanciato delle gestioni patrimoniali multilinea che investono in titoli, fondi e Etf perché noi crediamo molto nell’attività della cosidetta gestione discrezionale. In Italia le gestioni patrimoniali hanno una lunga tradizione alle spalle ma non hanno una raccolta esaltante. Anzi, nei primi due trimestri hanno registrato flussi negativi per circa 1 miliardo di euro. Noi siamo andati però in controtendenza rispetto al resto dell’industria, con un saldo positivo di raccolta di oltre 1,6 miliardi di euro in questo segmento di mercato. Merito dello sforzo che abbiamo fatto nell’innovare questi prodotti. Abbiamo fatto lo stesso anche con le unit linked. A nostro avviso, le gestioni patrimoniali e le unit linked sono le soluzioni d’investimento adatte al mondo dei consulenti finanziari. Ma ce ne sono anche altre su cui stiamo puntando con convinzione.

Quali?

Crediamo che la logica di allocazione geografica o settoriale attraverso un singolo prodotto su cui tentare di fare market timing sia superata e crediamo sia invece il momento di puntare sugli investimenti tematici che permettono di posizionarsi sui mercati con finalità anti-ciclica. Riteniamo molto interessanti i temi d’investimento legati ai cambiamenti demografici e dei consumi, quale ad esempio il tema dell’invecchiamento della popolazione. Senza dimenticare poi la cosiddetta distruption. Abbiamo raccolto oltre 500 milioni di euro con un fondo azionario che punta su aziende i cui prodotti o il modello di business e di servizio hanno avuto effetti dirompenti nei loro settori di attività. Tutti questi temi possono poi essere combinati in soluzioni assemblate che puntano su quelli che vengono definiti mega trend. Un’altra categoria di soluzioni d’investimento che ci hanno aiutato nella crescita di quest’anno sono le soluzioni multi asset che si adattano bene all’attuale scenario di mercato. All’interno di questo segmento abbiamo intenzione di puntare su soluzioni income opportunities, cioè strutturate per garantire un flusso cedolare agli investitori, sfruttando le fonti di rendimento che arrivano da diverse asset class globali e non solo del mondo reddito fisso.

Il 2017 ha segnato il debutto e il grande successo dei Pir (Piani individuali di risparmio), la cui raccolta ha invece avuto un forte rallentamento quest’anno. Il boom di questi prodotti è ormai finito?

 C’è stato indubbiamente un rallentamento ma vorrei sottolineare un dato per noi molto soddisfacente: tra gennaio e giugno anche la nostra raccolta nel segmento dei Pir è andata in controtendenza rispetto al resto dell’industria. Da soli, nel primo semestre abbiamo registrato flussi positivi pari a 897 milioni di euro, circa il 26% dei 3,3 miliardi di raccolta realizzati con i Pir da tutto il settore del risparmio gestito. Non va dimenticato, poi, che negli ultimi mesi sono nati diversi piani individuali di risparmio legati a polizze assicurative unit linked, che non rientrano nelle rilevazioni mensili o trimestrali di Assogestioni. I dati che leggiamo  periodicamente sull’industria del risparmio gestito, dunque, rischiano di sottostimare la forza dei Pir. A mio avviso questi prodotti restano una delle maggiori innovazioni degli ultimi anni e hanno anche una funzione educativa per i risparmiatori italiani, poiché li spingono a porsi obiettivi di investimento a  medio e lungo termine.

Quali sono le vostre strategie distributive in Italia?

Tradizionalmente abbiamo uno stretto legame con tutti i maggiori canali distributivi esistenti in Italia: dalle principali reti di consulenti finanziari al sistema bancario. Il nostro modello è funzionale proprio a creare relazioni di lungo termine in logica di partnership, tra le quali ovviamente spiccano per volume Unicredit e CA Italia, ma in generale siamo oggi un punto di riferimento per tantissimi intermediari italiani. Posso dire infatti che Amundi è stato in Europa il primo asset manager che, al pari di quanto avevano già fatto i grandi player americani, ha deciso di andare oltre confine e oltre le relazioni infragruppo, creando economie di scala e che ha raggiunto in pochi anni la leadership del risparmio gestito europeo. Siamo da molti anni una casa di gestione che guarda con attenzione a tutte le opportunità distributive retail e istituzionali che ci sono sul mercato e che, soprattutto, vuole essere qualcosa di ben diverso da una semplice fabbrica di prodotti finanziari.

In che senso?

 In un mercato dove gli strumenti finanziari tendono sempre più spesso ad essere considerati delle commodity, cioè strumenti facilmente sostituibili l’uno con l’altro, sono convinto che in futuro le case di gestione diventeranno sempre più dei fornitori di servizi che cercano di instaurare un rapporto con i distributori e i clienti molto più complesso e articolato che in passato. Noi ci siamo già incamminati da tempo in questa direzione.

Come?

Abbiamo una piattaforma di servizi e di soluzioni molto ampia, sia relativi alla consulenza evoluta che a quella digitale robo advisory e robo for advisor che stiamo mettendo a disposizione del mercato italiano. Inoltre possiamo sfruttare una piattaforma di back to front con Amundi Service che ci consente di offrire servizi di fund hosting, di ottimizzazione del trading e di risk management, insomma una struttura ideale per la co-creazione dei più innovativi progetti di ristrutturazione dell’industria distributiva e anche per lo sviluppo di nuove soluzioni a disposizione del servizio di wealth management. Sempre sul fronte dei servizi, abbiamo sviluppato una struttura che si chiama Amundi Academy e che si occupa di formazione a 360 gradi. Si tratta di una vera e propria task force di persone e di contenuti che forniamo ai nostri distributori per elevare la qualità del servizio prestato ai clienti. Non ci siamo fermati qui però perché stiamo infatti fornendo tra i primi in Italia un modulo innovativo nel campo della finanza comportamentale. Il nostro metodo punta ad aiutare i consulenti a ottenere una profilatura del proprio cliente più profonda rispetto al questionario Mifid e a fornire nel tempo proposte d’investimento non solo adeguate al profilo di rischio del cliente e coerenti con il suo obiettivo e il suo bisogno ma che ne contempli una condivisione emozionale più significativa. La nostra professione e quella degli intermediari va sempre più nella direzione dell’esperienza, sia nel mondo dei consumi sia in quello degli investimenti e penso che proprio i grandi player internazionali avranno un ruolo fondamentale in questo cambiamento. Mi fa particolarmente piacere poter affermare che Amundi in questa sfida è partita dalla prima fila.

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