Schroders: missione sostenibilità

Investire in modo sostenibile non è una moda, ma un approccio che segue un trend epocale. Di questo tema e del suo impatto sul mondo della gestione del risparmio abbiamo discusso nel dettaglio con Luca Tenani (nella foto), country head Italy di Schroders.

In questo momento la sostenibilità è un tema molto caldo nell’ambito degli investimenti. A suo avviso si tratta di una moda o di un trend di lungo periodo?
Il tema non è passeggero. In Schroders siamo convinti che si tratti di un trend di lungo periodo, proprio perché risponde a sfide epocali. La società e l’ambiente stanno cambiando, costringendo le imprese ad adattarsi a questi mutamenti, che decreteranno i nuovi vincitori e vinti. Solo le aziende in grado di muoversi per tempo infatti riusciranno a prevalere e a ottenere risultati migliori. In questo quadro, i governi e le istituzioni hanno stabilito gli obiettivi per un mondo più sostenibile e responsabile e riconosciuto alla finanza un ruolo chiave nel loro raggiungimento.

Schroders cavalca quest’onda da molto tempo. Come avete integrato la sostenibilità nel vostro approccio agli investimenti?
Abbiamo iniziato oltre vent’anni fa a considerare il tema della sostenibilità nella nostra filosofia d’investimento, e non a caso l’Organizzazione per l’investimento responsabile, che fa capo alle Nazioni Unite, ci ha assegnato il massimo rating, A+. Abbiamo diversi fondi dedicati – come gli azionari globali Schroder ISF Global Sustainable Growth e Schroder ISF Global Climate Change Equity – ma siamo andati oltre. Abbiamo infatti integrato l’approccio sostenibile in modo olistico, trasversale a tutte le asset class, e abbiamo inoltre assegnato un rating interno di sostenibilità a tutte le nostre strategie.

In che modo Schroders declina questa “terza dimensione dell’investimento”?
Quando scegliamo le aziende su cui investire non analizziamo soltanto la loro redditività, ma prendiamo in considerazione anche le loro interazioni con l’ambiente e la società. Il nostro approccio non si limita a escludere le aziende che producono alcol, tabacco, armi, ma si basa anche sulla valutazione di altri criteri, come l’impatto ambientale o le condizioni di lavoro. Inoltre per noi riveste un ruolo cruciale l’azionariato attivo: nel solo terzo trimestre di quest’anno abbiamo avuto colloqui con il top management di ben 1.120 società, per invitarli ad adottare pratiche più sostenibili e abbiamo votato in ben 540 assemblee degli azionisti. Dal 2015 poi stiamo coinvolgendo le aziende di largo consumo riguardo ai rischi legati alla vendita di prodotti a base di zucchero, che è considerato il nuovo tabacco, cercando di valutarne le ricadute su fatturato e profitti. Inoltre in Italia Schroders ha aderito ai Principi italiani di stewardship, promossi da Assogestioni per esercitare i diritti di voto nelle società quotate e ispirati alle best practice di Efama, la European fund and asset management association.

Quali ostacoli bisogna abbattere, a suo avviso, per spianare la strada degli investimenti sostenibili?
L’ostacolo principale riguarda la carenza di informazioni e comprensione. Resta importante, a mio avviso, l’impegno verso una maggiore educazione finanziaria. Sono tre i principali falsi miti da sfatare al riguardo. Il primo è quello che porta a pensare che gli investimenti sostenibili abbiano a che fare solo con l’ecologia: non è così, perché le aree Esg sono tre. La prima (E) che sta per Environment, è quella che riguarda appunto le questioni ambientali. La seconda
(S) che sta per Social, concerne invece la responsabilità sociale, mentre la terza (G) ha a che fare con le questioni di Governance aziendale. Il secondo preconcetto è legato alla convinzione che gli investimenti sostenibili non rendano. Diversi studi provano invece che le pratiche responsabili non solo apportano un contributo positivo ai risultati d’impresa, ma contribuiscono anche a ridurre i rischi. Infine in molti ritengono che l’approccio Esg significhi soltanto escludere i settori controversi: neanche questo è vero, perché è necessario uno screening attivo. Quello che conta per la performance sono i titoli che sono stati selezionati, non quelli esclusi. Bisogna che l’industria agisca per far sì che questi preconcetti vengano rimossi.

Come reagiscono gli investitori di fronte a questa tendenza?
Direi molto positivamente. Secondo la nostra ricerca “Schroders Global Investor Study 2018” condotta su 22mila persone in 30 Paesi, la componente sostenibile viene considerata sempre più rilevante nell’asset allocation. Per esempio in media circa il 36% del portafoglio degli italiani è già posizionato su investimenti Esg. Dalla ricerca è tuttavia emerso che ci sono dei limiti a livello internazionale: per una parte degli intervistati non è facile ottenere consulenza su questi temi, e non è nemmeno facile comprendere con precisione di cosa si tratta. Quindi l’interesse c’è, ma ci sono anche degli ostacoli, che occorre abbattere per rendere chiari i benefici degli investimenti sostenibili per il proprio portafoglio e la società intera. Si tratta di una win-win situation, che concilia profitto e bene sociale.

Quali sono le principali differenze tra gli investitori emerse dallo studio?
Le principali differenze riguardano l’alfabetizzazione finanziaria. Dalla ricerca è infatti emerso che chi possiede conoscenze più approfondite investe più volentieri in strategie Esg. Un’altra divergenza rilevante è quella generazionale: gli investitori più giovani, in particolare i Millennial, risultano essere più sensibili al tema.

In generale qual è la sua visione delle prospettive del settore del risparmio gestito nei prossimi mesi, anche alla luce delle mutate condizioni di mercato?
Ritengo che il rallentamento che si è verificato nel secondo e terzo trimestre sia stato in larga parte determinato da fattori contingenti, legati alle turbolenze sul fronte della politica che hanno causato un aumento della volatilità sui mercati. A questo i risparmiatori hanno reagito rifugiandosi nella liquidità. Se guardiamo al futuro con un orizzonte che vada oltre i prossimi mesi, sono convinto che le prospettive per il settore siano positive. Proprio perché i mercati sono sempre più complessi, considero l’asset management l’industria meglio posizionata per intercettare il risparmio degli italiani, che negli ultimi anni hanno avuto modo di apprezzare i benefici dei fondi d’investimento, non solo in termini di rendimento, ma anche di diversificazione, gestione del rischio e trasparenza.

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