Investimenti, il termometro obbligazionario

Vi proponiamo di seguito un commento sulle manovre di BCE e Fed e sugli effetti di queste ultime sulle obbligazioni governative a cura di Jared Franz, Economista di Capital Group.

I rendimenti obbligazionari sono calati bruscamente e una delle tante ragioni è che secondo il mercato la Fed ritoccherà i tassi altre cinque volte entro la fine del 2020, ipotizzando tagli di 25 punti base per ogni appuntamento. Compreso l’intervento di luglio, questo si tradurrebbe in un taglio di 150 punti base su un periodo di 18 mesi, un ritmo che si è registrato solo in un’occasione al di fuori di una recessione. Una curva dei rendimenti invertita – dove i tassi a breve termine superano i tassi a lungo termine – invia lo stesso segnale.

Detto questo, ci sono altri fattori che stanno spingendo i rendimenti obbligazionari statunitensi verso il basso, compresi i tassi di interesse negativi in Europa e in Giappone. Le obbligazioni sono scambiate in un mercato globale, ed è possibile che gli investitori non siano soddisfatti del rendimento dei Bund decennali intorno allo -0,6%. In questo contesto, i Treasury all’1,6% appaiono ovviamente molto più allettanti. Con la Banca Centrale Europea che probabilmente spingerà ulteriormente i tassi in territorio negativo il mese prossimo, a livello globale i rendimenti obbligazionari stanno essenzialmente agendo da ancora sui rendimenti statunitensi. Il che può aiutare a spiegare perché il mercato obbligazionario sembra prevedere una recessione, mentre il mercato azionario statunitense resta prossimo ai massimi storici.

Ad ogni modo, a nostro avviso, la Fed non farà ricorso ai tassi di interesse negativi – incredibilmente dannosi per il settore bancario, come visto in Europa e in Giappone. Peraltro, tale strategia renderebbe molto più difficile per le banche centrali reagire nel caso in cui le condizioni economiche si deteriorassero ulteriormente. Probabilmente la Fed guarderebbe prima all’allentamento quantitativo, alla forward guidance e ad altri strumenti, e prenderebbe in considerazione una politica dei tassi negativi solo in caso di un’altra crisi finanziaria globale della portata di quella del 2008-2009.

I funzionari della Fed sembrano determinati a non andare contro le aspettative del mercato: c’è dunque una buona probabilità che porteranno avanti il processo di allentamento, fornendo un ambiente favorevole per una deviazione al rialzo dei corsi azionari. Anche se gli utili societari statunitensi sono leggermente calati, al 9 agosto, il 76% delle società nello S&P 500 ha riportato utili per azione al di sopra delle stime di consenso nel secondo trimestre, di buon auspicio per le prospettive sugli utili.

Nel complesso, i mercati e l’economia degli Stati Uniti sembrano essersi adattati alla disputa commerciale, almeno per ora. Anche con gli incrementi dei dazi annunciati all’inizio di agosto e la manipolazione valutaria di Pechino, l’equity Usa è ancora in crescita di oltre il 17% su base annua, e la doppia cifra dovrebbe tenere fino alla fine dell’anno.

Fino a quando non si raggiungerà un qualche tipo di compromesso sul piano commerciale, la volatilità del mercato rimarrà probabilmente elevata, ma anche quella metrica deve essere messa in prospettiva. Ai livelli attuali, l’incremento che abbiamo osservato di recente costituisce semplicemente un ritorno alla normalità dopo un periodo di relativa calma. Quei giorni sembrano essere finiti per ora.

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