Consulenti, come vi ha cambiato la pandemia

Prima della pandemia era un rincorrersi tra chi, banche e assicurazioni in primis, faceva a gara per erigere il grattacielo più alto e in grado di ospitare migliaia di dipendenti. Un po’ come nel Medioevo: più una famiglia era ricca e più la torre alta. Poi è arrivata la pandemia, le banche non hanno mai smesso di funzionare anche se durante il lockdown nelle loro sedi centrali è entrato mediamente solo il 3% del totale della forza lavoro.

Tutti a casa, o quasi
Tutto ha funzionato bene, in alcuni casi meglio di quando gli uffici erano pieni di dipendenti. Certamente tutto è funzionato perché il resto dei dipendenti (97%) rimasto a casa ha potuto o, forse meglio, ha dovuto lavorare dalla propria abitazione. Due sono le domande che sorgono spontanee. 1) Siamo sicuri che tutto tornerà come prima? 2) Quello che sperimentiamo è veramente smart working? Se tutto tornerà come prima certamente dipenderà dall’andamento della curva epidemiologica e da quando si troverà il vaccino. Nel frattempo è però palese come l’esperienza vissuta abbia fatto crollare una serie infinita di pregiudizi. Questa nuova modalità ha moltissimi vantaggi. Ai consulenti finanziari, per esempio, consente di ottimizzare i tempi (34%), i costi (24%), di valorizzare e usare dotazioni tecnologiche prima poco sfruttate (29%), offre una maggior facilità di condivisione dei documenti (21%) e aumenta la probabilità di raggiungere i risultati (17%). Gli svantaggi riguardano i problemi tecnici (58%), la perdita del contatto umano (55%), la scarsa digitalizzazione dei clienti (39%) e il tema della sicurezza e della privacy (35%), (fonte: Finer Lockdown Monitor, campione 300 consulenti finanziari, periodo di rilevazione aprile 2020, n.d.r.

Processo irreversibile
È indubbio quindi che si sia innescato un processo irreversibile che porterà le banche e le reti più digitali a compiere ulteriori passi avanti verso una inesorabile ottimizzazione delle procedure a distanza, quelle meno digitalizzate saranno costrette a seguirle se non vorranno essere spazzate via dal mercato. Quanto alla seconda domanda, tutti parlano di smart working come la nuova modalità di lavoro che stiamo sperimentando, ma siamo sicuri che sia vero smart working? L’Osservatorio del Politecnico di Milano definisce lo smart working come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Concettualmente lo smart working andrebbe utilizzato in tempi appositamente concordati e limitati anche al fine di evitare un possibile distacco azienda-dipendente.

Stare ai domiciliari
Forse è più corretto chiamare quello che stiamo sperimentando come un lavoro “ai domiciliari” frutto di un’emergenza che impone ritmi di lavoro non più scanditi da una dimensione spaziotemporale convenzionalmente accettata e consolidata. Il punto vero è che la pandemia e il lockdown che ne è seguito hanno scardinato e stanno scardinando tutta una serie di convinzioni e di consuetudini ultra radicate. Ciò che non sono riuscite a fare generazioni di ceo, cfo e di responsabili IT in tempi normali e nei decenni che hanno preceduto la pandemia è stato realizzato in poco più di due mesi dall’emergenza. Tutto ciò avrà un impatto anche sui modelli di business. Se è vero che le dimensioni contano e che una grande nave dovrebbe resistere di più ai marosi rispetto a un piccolo battello è altrettanto vero che la prima cosa per stare a galla è la qualità della barca, quindi non imbarcare acqua, la seconda è riuscire a schivare agilmente ostacoli e insidie. Molto spesso grande si contrappone ad agile e oggi più che mai la capacità di adattamento e la resilienza sono diventati fattori critici di successo. Prepariamoci quindi a vedere grandi cambiamenti e ad assistere a molte sorprese che riguarderanno il settore delle banche, delle reti e del risparmio gestito nei prossimi mesi.

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