Perché i giapponesi tengono 36mila miliardi di yen nel materasso e i rendimenti dei governativi sono così bassi?

A cura di Juan Nevado, M&G Investments
Qualche giorno fa, la CNBC ha pubblicato un pezzo in cui si afferma che le famiglie giapponesi potrebbero detenere qualcosa come 36 mila miliardi di yen in denaro fisico. Questo fenomeno si spiegherebbe in parte con il tentativo di evadere le tasse e, in una società in cui i morti continuano a incassare la pensione, è chiaro che qualche problema con le frodi potrebbe esserci. Ma qui siamo di fronte a qualcosa di più grande delle truffe al sistema previdenziale. Lo stesso articolo infatti provvede a contestualizzare questi “soldi nel materasso”: già l’anno scorso, il ministro delle Finanze giapponese aveva parlato di 880 mila miliardi di yen detenuti in contanti in banca.
Insieme, queste statistiche rivelano semplicemente un’economia in cui manca un forte incentivo a investire nel futuro. I singoli e le società sono felici di ottenere un interesse prossimo allo zero in banca (o effettivamente pari a zero, sotto al letto) sul proprio denaro, anziché darlo in prestito. Di fatto, i rendimenti ottenibili sui prestiti concessi al governo giapponese sono crollati negli ultimi cinque anni, nonostante il massiccio incremento del debito governativo e l’obiettivo esplicito di far crescere l’inflazione.
Un altro articolo recente suggeriva che il rapporto debito/PIL del Giappone (attualmente al 240%, secondo l’FMI) è destinato a peggiorare e, anche volendo considerare queste previsioni con la stessa fiducia riservata a molti altri articoli usciti nel giorno dei pesci d’aprile, sembra comunque il momento giusto per dare un’occhiata più da vicino al Giappone.
Perché i mercati non sono più preoccupati per un default giapponese?
Mentre la crisi dell’Eurozona continua, è ragionevole chiedersi perché siamo così preoccupati per la Grecia, il Portogallo o l’Italia, ma non per il Giappone, sebbene il rapporto debito/PIL giapponese sia molto più alto.
La verità è che il rapporto fra il debito e il PIL non è stato un buon indicatore della probabilità di default né della direzione dei rendimenti, nelle economie sviluppate (ad esempio, negli Stati Uniti i rendimenti sono crollati mentre il debito/PIL è aumentato).  I default sovrani si concentrano per la maggior parte nei mercati emergenti, dove la capacità di stampare moneta per rimborsare il debito è stata limitata, a causa del fatto che il Paese ha emesso obbligazioni con cedole in valuta estera e/o perché la valuta è stata ancorata.
Per contro, dato che una quota ampiamente maggioritaria del debito giapponese è emessa in yen, in teoria il Giappone può continuare a servire il debito all’infinito: basta “stampare” altri yen per effettuare qualsiasi pagamento. Per i governi dotati di questa capacità, il default diventa più una questione di volontà di pagare che non di possibilità di farlo: il Paese è disposto a tollerare i costi associati alla “stampa di altra moneta” per rimborsare i debiti?
Questi costi in genere sono l’inflazione e la svalutazione della valuta nazionale. E per il Giappone oggi questi costi non si fanno sentire neanche lontanamente. Anzi, il Giappone è tuttora in una situazione in cui fa di tutto per creare inflazione e ottiene vantaggi quando la valuta si indebolisce.
Per questo il mercato al momento ha fiducia nella capacità del governo di adempiere i suoi obblighi, anche se questa fiducia fa arrabbiare alcuni settori dell’industria degli investimenti. Il dubbio comunque resta: anche se i detentori esistenti del debito giapponese sono convinti che saranno rimborsati, perché sono disposti a guadagnare così poco?
Perché i rendimenti delle obbligazioni giapponesi sono così bassi?
Questo è un tema dibattuto da anni. Le argomentazioni, per quanto diverse, tendono a concentrarsi sul fatto che la crescita è debole (in parte a causa di fattori demografici) e quindi ci sono poche alternative per generare remunerazioni migliori di questi rendimenti, per quanto bassi siano. Dato che le imprese non sono disposte a investire e/o le banche sono poco propense a prestare, a causa di queste scarse opportunità di crescita, le banche si ritrovano a possedere grandi quantità di titoli governativi.
Altre argomentazioni, diverse ma correlate, focalizzano l’attenzione su chi detiene il debito governativo giapponese. I dati riportati in un articolo del Wall Street Journal hanno messo in luce due aspetti al riguardo: la quantità modesta di debito in possesso di investitori non giapponesi (di cui i colleghi di Bond Vigilantes hanno parlato nel 2012), e il fatto che la Banca del Giappone è diventata ormai il principale detentore di obbligazioni governative.
È quest’ultimo fattore che ha attirato l’attenzione di recente, quando nell’ambito del suo programma di stimolo, la Banca del Giappone ha rastrellato oltre il 70% di tutte le nuove emissioni di debito sovrano ogni mese. Con l’ondata di acquisti di titoli da parte della BCE già all’orizzonte quest’anno, i guadagni a doppia cifra offerti dai titoli sovrani europei e il recente post di Ben Bernanke sulla capacità delle banche centrali di influenzare i tassi, il ruolo degli acquisti di obbligazioni da parte dei banchieri centrali ai fini dell’andamento dei rendimenti è un argomento che il team affronterà su questo blog più avanti nel mese.
Ma-comunque
Tuttavia, a prescindere da questi dibattiti, la domanda centrale per gli investitori è sempre la stessa: quanto posso guadagnare, quanto posso perdere e quanto è probabile che accada l’una o l’altra cosa? Con i rendimenti obbligazionari così bassi in Giappone, le probabilità appaiono certamente asimmetriche: anche considerando i tassi negativi, il margine di declino per i rendimenti appare limitato rispetto all’entità di un possibile rialzo.
L’ambiente attuale è uno di quelli in cui non ci vuole troppa fantasia per immaginare scenari in grado di mettere sotto pressione i tassi. La cosiddetta “Abenomics” è uno sforzo deciso per incrementare l’inflazione e la crescita, con un obiettivo di inflazione del 2%. Abbiamo già parlato in precedenza di quanto sia difficile, ma se si riuscisse anche solo ad andarci vicino, un rendimento dello 0,3% sui Treasury a 10 anni potrebbe risultare molto poco appetibile. Ci sono anche altri elementi potenzialmente positivi per la crescita: il calo del prezzo del petrolio ha raffreddato l’inflazione nel breve periodo, ma in prospettiva può dare un forte impulso all’espansione economica, il proposto aumento dell’IVA è stato rinviato, mentre le esportazioni mostrano segnali di ripresa, in scia al declino dello yen.
Certo, l’impatto di queste forze resta tutto da vedere e sono in molti ad aver subito perdite scommettendo contro le obbligazioni governative giapponesi, nel corso degli anni. Però, se avete un po’ di soldi in più sotto il materasso, probabilmente oggi ci sono in giro opportunità molto più attraenti del debito governativo giapponese.

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