Dare un senso ai tassi di interesse negativi

A cura di Jim Cielinski, Responsabile reddito fisso globale Columbia Threadneedle
I mercati obbligazionari hanno inaugurato un’era di tassi d’interesse negativi, confutando la perdurante convinzione che lo zero costituisca una soglia sotto la quale i rendimenti non possono scendere. All’inizio di marzo quasi il 17% (USD 3,85 trilioni) dei titoli di Stato dei paesi sviluppati presentava rendimenti negativi, e svariati altri trilioni – per lo più in Giappone – evidenziavano rendimenti di poco superiori a zero. Per ottenere un rendimento positivo in Germania, gli investitori devono privilegiare i titoli con scadenza superiore a sette anni. In Svizzera, per sottrarsi ai rendimenti negativi, devono acquistare obbligazioni a 12 anni.
Gli investitori obbligazionari sono nel complesso usciti di senno? Pagare qualcuno per il privilegio di detenere il proprio denaro è certamente contrario alla logica. Vi sono tuttavia alcune valide ragioni per le quali gli acquirenti di titoli a reddito fisso potrebbero accettare tassi negativi: 1) la deflazione (o il timore della stessa), che contribuirebbe a produrre un rendimento reale positivo; 2) la speculazione sull’apprezzamento delle valute; 3) la repressione finanziaria, nella quale un investitore è costretto a detenere tali attività o scoraggiato dal detenere liquidità; 4) l’insensibilità ai prezzi, che potrebbe prodursi quando gli acquisti effettuati da una banca centrale sono dettati non dall’incentivo del profitto ma da motivazioni di politica economica; 5) l’arbitraggio, presente in alcuni mercati come la Danimarca o la Svezia, dove gli investitori sono molto fiduciosi che i tassi ufficiali rimarranno negativi per un periodo prolungato; e 6) gli acquisti basati su regole, come nel caso dei fondi indicizzati.
Ognuno di questi fattori gioca oggi un ruolo rilevante. I mercati hanno attribuito gran parte della colpa dei rendimenti negativi all’eccessivo zelo delle banche centrali, che continuano ad assorbire una quota significativa dell’offerta obbligazionaria globale. L’entità degli interventi delle banche centrali è enorme (Grafico 1). In molti importanti mercati obbligazionari, nei prossimi due anni ci attendiamo un’offerta netta negativa, come misurato dal volume di titoli disponibili dopo che le banche centrali hanno effettuato i loro acquisti. Al margine ciò può comportare un calo significativo dei rendimenti, ma tale impatto è limitato. I mercati spesso confondono i livelli con i flussi.
Le banche centrali sono in effetti gli acquirenti dominanti dell’offerta incrementale di obbligazioni, ma non sono le uniche a determinare i tassi d’interesse a termine. La Bank of Japan e la Banca centrale europea (BCE) esercitano un effetto profondamente distorsivo sui mercati dei tassi locali, perché questo è precisamente il loro obiettivo. Devono mantenere i tassi reali a livelli contenuti per aiutare le rispettive economie a portarsi su una traiettoria di crescita autosostenuta. Nonostante le dimensioni, tuttavia, neppure loro possono condizionare in via permanente il tasso al quale tutte le obbligazioni globali vengono negoziate.
La capacità di spiegare i rendimenti negativi non li rende una valida fonte di valore. L’acquisto di obbligazioni a tassi negativi è garanzia di una perdita di denaro in termini nominali. Gli operatori di mercato sono abituati alla possibilità di subire perdite: è un rischio che viene assunto nel perseguimento di rendimenti positivi. La certezza di incorrere in una perdita, invece, è tutta un’altra cosa. Viviamo in uno strano nuovo mondo.
In questo nuovo paradigma, gli investitori dovrebbero domandarsi:
Fino a che punto possono diminuire i rendimenti obbligazionari?
Le attuali politiche saranno uno strumento efficace per dare impulso alla crescita?
Come dovrebbero reagire gli investitori a tali sviluppi?
Vi è un limite alla flessione dei rendimenti. Via via che i tassi d’interesse diventano sempre più punitivi, ci attendiamo l’emergere di metodi più o meno tecnologici per conservare i “soldi sotto il materasso”. Il denaro contante è un mezzo terribilmente scomodo per regolare le transazioni di importo elevato, ma può essere utilizzato nelle operazioni di ammontare minore. Le banche, che sono tenute a versare un interesse dello 0,20% sulle riserve libere, potrebbero decidere semplicemente di custodire il denaro nei propri caveau anziché depositarlo presso la banca centrale. Si potrebbero inoltre creare nuovi prodotti, come un ETF che tiene il denaro in cassaforte e paga un interesse privo di rischio prossimo allo zero. Riteniamo che ciò manterrebbe i rendimenti negativi fra il -0,25% e il -0,30% per tutti i titoli tranne quelli a breve scadenza.
Le autorità, naturalmente, potrebbero fissare i tassi a breve a livelli ancora più contenuti. Se il -0,20% non è sufficiente per rimettere l’eurozona in carreggiata, il prossimo passo potrebbe essere un tasso del -0,50% o del -0,75%. Danimarca, Svezia e Svizzera hanno già adottato questo approccio aggressivo. Riteniamo che la maggior parte delle banche centrali si asterrà dall’adottare tali misure draconiane, poiché è troppo difficile prevederne gli eventuali effetti indesiderati. La riduzione dei tassi ufficiali a livelli profondamente negativi distruggerebbe di fatto il settore dei fondi monetari, un’importante ruota nell’ingranaggio del sistema finanziario globale. Pregiudicherebbe inoltre la redditività delle banche, provocando un esito perverso caratterizzato da ulteriore deleveraging oppure, all’estremo opposto, un aumento dei prestiti speculativi volto a evitare gli oneri sulle riserve libere. Oscurerebbe i segnali e i feedback dei mercati, rendendo difficile per le autorità comprendere le implicazioni dei loro interventi.
Infine, equivarrebbe a un’imposta negativa sul risparmio e a un guadagno inatteso per i mutuatari, con importanti implicazioni a lungo termine per le economie che presentano già livelli eccessivi di debito e un rapido invecchiamento della popolazione.
I tassi negativi sui depositi favoriranno la crescita economica. È alquanto probabile che le attuali politiche non convenzionali si dimostrino efficaci. Non saranno una panacea per il Giappone o l’Europa, che sono affetti da problemi strutturali profondamente radicati, ma dovrebbero condurre a sorprese economiche positive in entrambe le regioni. La combinazione di un quantitative easing (QE) su larga scala e di tassi negativi in Europa costituisce un caso particolarmente interessante. A differenza degli Stati Uniti o del Regno Unito, dove l’annuncio del QE è stato quasi altrettanto importante del programma stesso, in Europa si cominciano appena a osservare gli effetti di trasmissione. Nel Vecchio Continente l’effetto ricchezza sarà più contenuto, poiché nella regione vi è una minore esposizione alle attività rischiose. L’effetto valutario, attraverso il deprezzamento dell’euro, sarà probabilmente più pronunciato e contribuirà ad arrestare il calo dell’inflazione e a stimolare la crescita delle esportazioni.
La vera incognita, tuttavia, è rappresentata dagli effetti sul sistema bancario e del credito. I proventi degli acquisti di obbligazioni dell’eurozona effettuati dalla BCE finiscono sui bilanci delle banche sotto forma di riserve libere. Ciò è intuitivo se il venditore delle obbligazioni è una banca, ma è altrettanto vero se i titoli sono venduti da altri soggetti che depositano i proventi nel sistema bancario. Se la BCE riesce nell’intento di acquistare titoli per EUR 1,1 trilioni, le riserve soggette a un interesse negativo andranno incontro a un aumento esponenziale fino a tutto il 2016. Ma questo è solo l’inizio. Ci attendiamo che le banche in controllo dei propri bilanci si dimostrino estremamente riluttanti a liquidare titoli con rendimenti positivi, se l’alternativa è detenere i proventi sotto forma di riserve gravate da un interesse negativo di 20 punti base. La crescita del credito registrerà quasi certamente un’accelerazione e questo impulso darà luogo a un punto di svolta ciclico.
Muoversi in un contesto di tassi d’interesse nominali estremamente contenuti. Le banche centrali esercitano un effetto distorsivo sui mercati e continueranno a farlo. I limiti del PIL quale valida misura della performance economica o indicatore attendibile del livello dei tassi sono riconosciuti da tempo. La gravità delle distorsioni odierne renderà il collegamento tra i fondamentali economici molto instabile e talvolta irrilevante per i mercati obbligazionari. La divergenza delle politiche monetarie rimarrà un driver più influente. Le opportunità d’investimento saranno significative. Alcune economie, come quella statunitense, stanno muovendo i primi passi verso una normalizzazione della politica monetaria, rimuovendo gli effetti distorsivi del QE. Altre stanno per intraprendere un percorso destinato a produrre gravi distorsioni. Gli investitori obbligazionari devono sfruttare tali opportunità ma essere anche consapevoli che i mercati sono altamente interconnessi.
La ricerca di rendimento è uno dei nostri temi cruciali da diversi anni. I tassi negativi sui depositi e i rendimenti obbligazionari estremamente contenuti garantiranno una prosecuzione di questa tendenza. Molti investitori ricercheranno un rendimento abbinato alla sicurezza, molti altri un rendimento accompagnato da un elevato potenziale di performance, ma in qualche misura quasi tutti gli investitori privati necessiteranno di rendimento. Il contesto odierno dovrebbe risultare favorevole per altre attività generatrici di reddito di elevata qualità: le obbligazioni investment grade e high yield sono tra gli ovvii beneficiari dei rendimenti negativi, al pari delle azioni ad alto dividendo e degli immobili commerciali. Gli investitori obbligazionari si spingeranno sempre più avanti lungo la curva dei rendimenti e sempre più in basso lungo lo spettro creditizio, con un potenziale aggravio dei problemi quando i tassi di interesse finiranno per aumentare.
Ci attendiamo che i rendimenti in Europa e in Giappone rimangano relativamente depressi, ma nessun investitore oggi dovrebbe considerare i titoli di Stato a lunga scadenza alla stregua di “attività sicure”. Solo un anno fa i bund decennali tedeschi rendevano l’1,56%. Un ritorno a tali livelli nei prossimi 12 mesi genererebbe una performance del -10,8%. Un simile aumento dei rendimenti dei bund trentennali si tradurrebbe in una cospicua perdita del 20%.
Prevediamo che le politiche monetarie porranno un freno al potenziale aumento dei tassi nei mercati sviluppati. Le argomentazioni a favore di un rialzo dei rendimenti negli Stati Uniti sono convincenti, ma un mondo inondato di liquidità in eccesso continuerà a considerare i Treasury USA un investimento redditizio. Ciò renderà l’adeguamento a un aumento dei tassi un processo più volatile, ma non dovrebbe ostacolarlo. L’asimmetria delle performance rimane uno dei maggiori timori per gli investitori in titoli sovrani. La misura in cui si possono realizzare modesti guadagni ma subire perdite elevate produce un trade-off impegnativo tra rischio e rendimento.
Le incertezze a lungo termine per il reddito fisso sono in aumento. I cambiamenti radicali di politica monetaria non sono privi di effetti collaterali. Il quantitative easing, i tassi negativi sui depositi e il crollo dei rendimenti obbligazionari rappresentano un cocktail poderoso per i mercati globali. I tassi reali persistentemente contenuti penalizzano i risparmiatori, costringendoli a risparmiare di più per un periodo prolungato allo scopo di conseguire i loro obiettivi finanziari. Inoltre, possono indurre altri investitori a privilegiare attività più rischiose, aggravando il problema nel caso abbia inizio una fase ribassista. Ciò potrebbe creare un circolo vizioso per contrastare il quale le banche disporrebbero di pochi strumenti.
Le implicazioni di rendimenti obbligazionari contenuti o negativi possono essere catastrofiche per gli sponsor degli schemi pensionistici a prestazioni definite, poiché il valore attuale delle passività a lungo termine viene calcolato di norma con riferimento al rendimento di un’obbligazione a lunga scadenza. I rendimenti bassi o negativi creano un dilemma per i fondi pensione dotati di risorse finanziarie insufficienti, che possono ridurre il gap di finanziamento tramite ulteriori acquisti di obbligazioni con rendimenti ai minimi storici, oppure incrementare le posizioni in attività rischiose, assumendo tuttavia una significativa esposizione a una grave correzione di mercato.
È errato ipotizzare che i tassi siano contenuti solo a causa delle politiche monetarie fortemente espansive. Tali politiche, dopo tutto, sono straordinariamente accomodanti solo perché la crescita e l’inflazione si sono dimostrate regolarmente deludenti. Se i tassi d’interesse fossero davvero distorti in maniera consistente dalle autorità, l’indebitamento privato dovrebbe evidenziare un’impennata. Ma questo non accade. Il livello di equilibrio dei tassi necessario per uguagliare il risparmio e l’investimento chiaramente non si discosta molto da zero nella maggior parte delle regioni. Il livello odierno dei rendimenti obbligazionari è perfettamente sensato per chi crede che il mondo sia affetto da deflazione.
Gli investitori devono essere fiduciosi che questo non sia il modo in cui il presente ciclo si manifesta. Non crediamo sia questa la direzione in cui siamo diretti, ma una tale conclusione condurrebbe a un giudizio molto diverso sui mercati.
Il successo in alcune aree creerebbe verosimilmente problemi in altre. Se, come crediamo, le autorità spingeranno gli investitori a privilegiare segmenti del mercato sempre meno liquidi e a più alto rendimento, li condurranno in un vicolo cieco. I cambiamenti normativi contribuiscono a ostacolare l’immissione di liquidità sul mercato secondario, ponendo in definitiva i mercati su una rotta di collisione con una scarsa liquidità. Ciò rappresenta un nuovo rischio che deve essere quantificato e gestito al pari di tutti gli altri.
Come dovrebbero reagire gli investitori? I tassi sono più contenuti di quanto atteso in questa fase del ciclo a causa della confluenza di una debole crescita globale, disinflazione e politiche monetarie accomodanti. Alcuni elementi di questa combinazione sono in via di attenuazione, in particolare negli Stati Uniti, e ci attendiamo che tale tendenza conduca a un’elevata volatilità, a un aumento dei tassi e a una persistente divergenza tra le economie e i mercati.
Tuttavia, l’espansione economica globale rimarrà nel complesso probabilmente modesta, a causa della continua riduzione dell’indebitamento e degli ostacoli strutturali nei mercati emergenti. Questo contesto assicura che le politiche monetarie accomodanti del Giappone e dell’eurozona siano destinate a durare a lungo. Tali misure sosterranno i mercati obbligazionari locali, ma riteniamo che ciò sia già scontato nelle quotazioni. I rendimenti obbligazionari negativi potrebbero rivelarsi la pozione magica che consente a queste economie di uscire dalla stagnazione. Tuttavia, gli investitori dovrebbero porre enfasi sulle classi di attività che beneficiano di tale crescita piuttosto che fornire gratuitamente denaro per sostenerla.

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