Tra inflazione e deflazione, conseguenze per gli investitori

di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel

Il monetarismo, una delle teorie economiche più influenti del 20° secolo, si basa sull’assunto che l’inflazione sia causata da un’eccessiva offerta di denaro. Il suo fondatore, il professore di economia americano Milton Friedman, sembra però smentito dalla storia: le straordinarie misure di liquidità lanciate dalle banche centrali – che, per riprendere un’immagine usata da Friedman stesso, possono essere paragonate a denaro gettato da un elicottero – non hanno avuto finora un influsso tangibile sui livelli dei prezzi. Di fronte alla tendenza apparentemente inarrestabile verso rendimenti sempre più bassi sui titoli di Stato, gli investimenti alternativi guadagnano a nostro avviso di attrattiva.

Alla luce delle iniezioni di liquidità senza precedenti attuate dalle principali banche centrali negli ultimi anni, bisognerebbe dunque attendersi un’impennata dell’inflazione. Eppure le economie avanzate continuano a denotare una tendenza al ribasso dei prezzi e non danno segno d’inflazione, con la rimarchevole eccezione del settore immobiliare premium, dei vini vintage e dell’arte. Allo stesso tempo le manovre straordinarie delle autorità monetarie spingono i prezzi delle azioni e delle obbligazioni verso livelli destinati a limitare i rendimenti futuri.

In ogni caso, il rapporto tra inflazione, massa monetaria e produzione economica si è spezzato irrevocabilmente agli inizi degli anni ottanta, a soli dieci anni dalla pubblicazione della teoria monetaria di Friedman. Esaminiamo ora i motivi della tendenza al ribasso dei prezzi a lungo termine o del rallentamento dell’inflazione (disinflazione):

1. La globalizzazione, misurata in base alla crescente quota delle esportazioni mondiali in percentuale del prodotto interno lordo globale (PIL), è stata un fattore importante in un percorso segnato da due grandi pietre miliari: la caduta del comunismo negli anni novanta e l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001.

2. Anche la perdita di influenza dei sindacati e la fine dell’indicizzazione dei salari hanno svolto un ruolo importante.

3. Le innovazioni tecniche – e in primis Internet – hanno aumentato la produttività del lavoro e consentito la trasparenza dei prezzi su scala mondiale.

4. Dopo un periodo di scarsità e di incremento dei prezzi, l’offerta di materie prime è cresciuta in misura considerevole e si è tradotta negli ultimi anni in una flessione dei prezzi.

5. In generale, la pressione a ridurre gli eccessivi livelli di debito, che si sono accumulati sulla scia della grande crisi finanziaria, è inerentemente disinflazionistica.

Inflazione nella fascia bassa della curva Pur convinti che le forze disinflazionistiche secolari continuino a prevalere, crediamo che alcuni dei fattori summenzionati abbiano perso temporaneamente di vigore. Ciò vale in particolare per la globalizzazione e la produttività del lavoro (entrambi stagnanti), ma anche per i prezzi delle materie prime (la cui discesa si è arrestata). Di conseguenza, le letture dell’inflazione hanno quasi raggiunto il punto di svolta inferiore. Inoltre la deflazione è talvolta considerata più preoccupante dell’inflazione: le banche centrali in Europa e in Giappone, per esempio, sono tuttora fermamente impegnate a spingere i prezzi al rialzo.

Debito svizzero e tedesco troppo caro nella maggior parte degli scenari Non è nostra intenzione predire la fine del mercato rialzista per i titoli di Stato di alta qualità a lunga scadenza, che sono finora sostenuti dalla flessione dell’inflazione, dall’incessante ricerca di sicurezza e dalle massicce misure di liquidità delle banche centrali. Tuttavia siamo del parere che gli attuali rendimenti offerti dai titoli della Confederazione svizzera (“Eidgenossen”) o dai titoli sovrani tedeschi (“Bund”), non offrano più un ragionevole rapporto rischio-rendimento – a meno che gli investitori in “Bund” non si aspettino di essere ripagati in (nuovi) marchi tedeschi dopo un eventuale collasso dell’Unione monetaria europea. Di conseguenza abbiamo ridotto a zero la nostra esposizione in titoli di Stato svizzeri e tedeschi e abbiamo mantenuto gli US Treasury come la nostra esposizione preferita nella duration di alta qualità. Per contro abbiamo aumentato la nostra esposizione in strategie alternative liquide destinate a generare rendimenti assoluti non correlati ad azioni e obbligazioni. Mentre manteniamo una discreta esposizione nei mercati azionari e obbligazionari sullo sfondo di un ambiente mondiale ancora favorevole, notiamo che i premi al rischio offerti in questi segmenti sono in calo, complice l’iperattività delle banche centrali. Ciò ci induce a cercare investimenti alternativi.

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