Focus sui Paesi di frontiera

A cura di Corrado Caironi, investment strategist di Ricerca & Finanza
In Europa tutto sembra rincorrere la negoziazione tra la Commissione Europea (con BCE e FMI) e la Grecia, o forse sarebbe meglio dire lo scontro tra la cancelliera Merkel e il governo Tsipras; gli spazi per ‘comprare tempo’ si stanno riducendo ormai ad un lumicino e la soluzione politica si allontana. Per quanto ormai fuori dai tavoli di discussione, la prima proposta del ministro greco Varufakis sulla ennesima ristrutturazione (taglio) del debito sembra una delle poche soluzioni per evitare il default e questa volta a pagare saranno proprio le istituzioni che nel precedente ‘haircut’ erano rimaste immuni. Un balletto che da troppo tempo la Germania in primis ha voluto sottovalutare e che ora irrita tutti, politici, mercato, creditori e soprattutto la BCE, obbligata a concedere liquidità alle banche greche per evitare la paralisi del paese sapendo che probabilmente non verrà restituita nella sua misura.
Mario Draghi. Draghi comunque dal Forum della BCE a Sintra mostra autorevolezza sulla tenuta dell’economia dell’area Euro che trova nella politica della banca centrale un supporto ‘inesauribile’ di liquidità; se da un lato non mancano i messaggi sulle riforme strutturali che ogni paese dell’Euro deve svolgere per rimettere in equilibrio le proprie finanze in una logica di cogliere gli effetti positivi monetari, dall’altra spiega che il problema della disoccupazione deve rimanere il punto di convergenza degli sforzi politici.
Inflazione in Usa. Negli Stati Uniti la vera scossa arriva dai dati sul Consumer Price Index (CPI) con un leggero recupero dei prezzi +0,1%; il CPI Core senza energia e alimenti rimane anno su anno sulla posizione di + 1,8%; in verità alcuni settori hanno visto un movimento al rialzo più convincente dopo un lungo periodo di assestamento: Medical costs +0,7%, Education costs +0,5%, Furniture +1,3% e Cars +0,6%. Il dollaro Usa è tornato ad essere guardato con attenzione con un apprezzamento, per alcuni operatori, non scontato.
Focus della settimana. Attenzione in settimana sui dati in Giappone di Export, IP e CPI; nell’area Euro i Confidence Surveys; negli USA: Durable Goods, Housing data, GDP revisions e Core PCE.
Minute FOMC. Nelle minute dell’ultimo comitato della FED, appena rese note, permane un atteggiamento attendista riguardo l’evoluzione della politica monetaria statunitense; le previsioni di un prossimo aumento dei tassi sui Fed Funds sembrano posporre il primo rialzo nella parte finale dell’anno, anche se tra le righe la Presidente Yellen rimane convinta che saranno i dati macroeconomici a guidare le decisioni. Sappiamo che al centro dell’attenzione ci sarà l’aggiornamento del GDP (dato provvisorio 1Q15 +0,2%), ma ovviamente anche i dati del mercato del lavoro e la crescita del monte salari quale proxi per i consumi. Rimane limitato il timore inflattivo per effetto del basso utilizzo della capacità produttiva, ma la proiezione di un tasso di disoccupazione che ad inizio 2016 potrebbe scendere vicino al 5% cambia la prospettiva di intervento.
Corporate Usa pronte al rialzo. L’aumento dei costi di finanziamento sembra comunque non preoccupare in modo eccessivo gli operatori americani che vedono nella normalizzazione del sistema dei tassi un aspetto comunque positivo; la “corporate” statunitense ha avuto un tempo sufficiente per trovare un rafforzamento del piano finanziario e nella estensione della durata dei prestiti; a conferma di questo le grandi società quotate non solo dimostrano un ottimo grado di patrimonializzazione, ma detengono un ammontare di liquidità con un record storico.
Tecniche di allocazione. Dal punto di vista degli investitori la preoccupazione maggiore è legata al ritracciamento del mercato obbligazionario che in questi ultimi decenni ha dato ottime performance. In realtà i gestori Usa stanno già pianificando interventi capaci di fronteggiare il rialzo dei rendimenti. In primo luogo è intuitivo l’aumento in portafoglio di strumenti obbligazionari a tasso variabile anziché a tasso fisso; un secondo elemento è la capacità di sfruttare l’abilità di gestori che possono permettersi posizioni ‘corte’ di duration con vendita allo scoperto sulle opportunità di ribasso delle valutazioni di obbligazioni cresciute molto nel tempo. E’ interessante inoltre notare che tra le tecniche legate al mondo azionario i gestori con forte abilità selettiva possono vendere allo scoperto le società più penalizzate da un aumento dei costi di finanziamento, comprando quelle che ne possono beneficiare (gestione long/short con ricerca di Alpha). Anche l’aumento in portafoglio dei cosiddetti “hard assets”, materie prime e metalli, che tendono a muoversi in positivo sul rialzo dei rendimenti, può essere una strategia utile nella diversificazione. Infine l’acquisto di strumenti che possono beneficiare di una maggiore volatilità; non è da escludere che nei mercati finanziari si innesti una fase di tensione con imprevisti movimenti anche speculativi dei flussi di investimento.
Frontiera asiatica in cerca di ripresa
Cina e India. Da tempo i paesi asiatici chiamati di ‘frontiera’ sono rimasti in ombra dopo la crisi finanziaria. Le ragioni più ovvie hanno riguardato la maggiore attenzione rivolte a Cina ed India, e l’affievolirsi delle opportunità sui paesi satelliti; sono state infatti le due grandi potenze ad attrarre i capitali esteri, corroborati dai Quantitative Easing, pronti a spingersi nel mercato finanziario asiatico. A ben guardare infatti i maggiori indici azionari indiani e cinesi hanno avuto rialzi portentosi negli ultimi due anni (rispettivamente + 40% e +90%); gli investitori internazionali hanno visto nelle riforme strutturali messe in cantiere sia dal governo Modi in India che dal Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping un importante motivo di evoluzione oltre che di sviluppo.
Paesi di frontiera. Recenti fatti politici ci portano ad analizzare due paesi i cui mercati obbligazionari sovrani hanno avuto qualche contraccolpo negli ultimi semestri a causa del cambiamento di scenario dettato dalla mancanza di flussi di investimento provenienti dall’estero. Il primo è il Pakistan, con oltre 183 milioni di abitanti, che dal 2003 ha continuamente accumulato un pesante Trade Deficit con l’estero, tassi di crescita del GDP in netto calo dopo la crisi finanziaria del 2008 e disoccupazione crescente. Il problema più grosso, e causa della riduzione delle esportazioni al contrario di altri paesi asiatici, è la mancanza di investimenti in campo energetico e l’insufficienza degli impianti di produzione elettrica. La Cina, maggior partner commerciale, negli incontri dello scorso aprile ha concordato una serie di progetti infrastrutturali pluriennali per un ammontare complessivo di 45mld Us$ che riaprirebbero lo sviluppo del paese. Il secondo paese è la Mongolia, area molto estesa con solo 3 milioni di abitanti. Intuibile la difficoltà del paese con riferimento alla caduta di domanda e prezzi delle materie prime (export delle commodities è l’80% del GDP); il paese detiene le riserve più importanti al mondo di rame e oro. Dopo il blocco degli investimenti sui maggiori progetti minerari, uno dei più importanti accordi sullo sfruttamento delle miniere è tornato ad essere operativo (Oyu Tolgoi – OT gold and copper mine project); il nuovo scenario vede stime di crescita che potrebbero far aumentare del 30% il GDP del paese in modo permanente.
Mercati obbligazionari. Nell’ampio mercato obbligazionario asiatico sembrano quindi tornare favorevoli le prospettive sui rating dei due debiti sovrani; dopo un periodo di lunga attesa gli analisti sono tornati a fare previsioni ottimistiche sulla possibilità di un outlook positivo sia per il debito sovrano del Pakistan (Caa1/B-), che fino a poco tempo fa sembrava sull’orlo di un default, che per la Mongolia (B2/B+). I due paesi, che dimostravano rating sul debito sovrano tra i più bassi in Asia, potrebbero tornare ad essere oggetto di investimento da parte dei gestori stranieri, restituendo nuova visibilità al loro mercato.

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