I temi sulla scrivania dei gestori

a cura di Corrado Caironi, investment strategist di Ricerca & Finanza

Che il mercato nelle ultime sedute del mese si sia innervosito lo evidenziano non solo le performance negative dei mercati azionari, ma un aumento della volatilità che ha coinvolto il mercato valutario. Almeno tre i punti oggetto di riflessione: a) l’aggiornamento del dato di crescita del GDP statunitense del primo trimestre fissato a – 0,7% (la prima stima era di + 0,2%); b) i dati contrastanti in Usa tra il buon andamento del mercato immobiliare (New Home Sales 517.000) e il calo dei Durable Goods Orders (-0,5%), e dei PMI di Chicago in discesa da 52,3 a 46,2 (il calo sotto 50 punti indica un’area di contrazione); c) il terzo fallimento in un mese di una società quotata cinese (Zhuhai dopo China Boarding Tianwei e Cloud Live).

Temi sulla scrivania dei gestori Che il primo trimestre in Usa fosse stato debole lo aveva già giustificato la Federal Reserve adducendo a fattori contingenti e climatici; gli analisti si sono soffermati in particolare sul rafforzamento del dollaro che aveva allarmato i profitti delle grandi società dell’indice S&P500. Il tema forse più forte è che il periodo di debolezza sembra poter continuare, almeno dai recenti dati macro. Riguardo alla borsa di Shanghai (+ 105% dal settembre scorso) il rischio di un’espansione troppo rapida del credito in una fase di minore crescita economica pone la banca centrale cinese ancora più in evidenza. La PBoC nella persona del suo presidente Zhou Xiaochuan è altresì impegnata nel promuovere l’inserimento del renminbi nel paniere di valute sul quale il Fondo Monetario Internazionale (FMI) calcola il valore dei diritti speciali di prelievo (Special DrawingRights): una richiesta di promozione della divisa cinese ancora da valutare da parte del FMI. Inutile, ma di cronaca, aggiungere il solito balletto di voci sul salvataggio/default della Grecia esclusivamente in mano alla politica.

Focus della settimana L’arrivo del nuovo mese vede venerdì i dati del mercato del lavoro statunitense (Non-Farm Payrolls); ancora in Usa: ISM, dati di Personal Income e Spending e Vendite Auto; in Europa gli incontri della BCE e della BoE.

Paesi Emergenti Esportatori La capacità dei più importanti paesi emergenti di ribilanciare le proprie economie in uno scenario di bassa crescita economica è ancora un aspetto sfidante che gli operatori cercano di studiare con attenzione. Da un punto di vista puramente commerciale i paesi esportatori di materie prime quali Indonesia, Brasile, Russia e Sud Africa hanno subìto un duro colpo sia per il calo della domanda che per la discesa dei prezzi. Nella maggior parte dei casi il processo di normalizzazione della politica monetaria negli Usa, dopo la chiusura dei programmi di Quantitative Easing, abbinato a specifiche peculiarità di bilancio pubblico, sta spingendo con fatica i governi ad adottare nuove iniziative strutturali/monetarie capaci di ‘raddrizzare’ i conti.

Brasile Il Brasile si sta dimostrando ancora in difficoltà indebolito da problemi sia interni che esterni. Il mix in calo di esportazioni delle materie prime che vede prodotti agricoli, energia e metalli, non è riuscito a sostenere la crescita che rimane lontana dal potenziale 4 – 4,5% per posizionarsi tra il 2 – 2,5%, un dato che comunque la terrebbe fuori dalla recessione. Gli sprechi di bilancio e una sostanziale incapacità di aggiustamenti nella spesa hanno trovato un’inefficiente allocazione dei capitali, una inopportuna rivalutazione del Real e un aumento del tasso di inflazione. Tuttavia, senza un progetto di riforme più strutturali nel mercato del lavoro, pensioni, carico fiscale e privatizzazione delle infrastrutture, gli operatori finanziari vedono difficile un programma di stimolo alla crescita, rendendo il Brasile una storia ancora meno ‘emozionante’ rispetto ad altri paesi.

Indonesia Altro paese impattato dal calo delle materie prime è stata l’Indonesia. Rispetto al Brasile la situazione sembra meno preoccupante dal punto di vista economico anche se la crescita del GDP ha visto un ridimensionamento da oltre il 6% verso un canale 4,9 – 5,5%. I maggiori problemi riguardano i flussi internazionali e in modo minore l’economia domestica. Al centro rimane l’attenzione della banca centrale (Bank Indonesia – BI) che sembra voler abbandonare la sua politica ‘prudente’ a favore di una maggiore flessibilità. Anche se gli operatori non si aspettano tagli immediati dei tassi di interesse in virtù dei segnali di inflazione ancora elevati, le aspettative sembrano avere una visione migliorativa nei mesi a venire.

Mercati finanziari in attesa di riforme Dal punto di vista dei rispettivi mercati finanziari i gestori rimangono ancora prudenti anche se viene comunque meno il tono preoccupato di alcuni trimestri addietro. L’indice Bovespa è attualmente scambiato ad un P/E di 14.7x, uno dei livelli più elevati degli ultimi 17 anni (solo inferiore a quello del 1999 e del 2008-09). Parte di questo è spiegato dall’impatto negativo del deprezzamento del dollaro sui profitti locali (si stima che il deprezzamento del 10% del Real abbia un impatto sui profitti dell’indice Bovespa di 400pts), ma soprattutto dalle aspettative di espansione degli utili nel corso dei prossimi anni. L’attuale posizione degli analisti risulta pertanto neutrale in attesa di maggiori indicatori macro. In Indonesia è il mercato obbligazionario ad avere una maggiore attenzione; davanti ad un calo dell’inflazione e attese di una politica meno restrittiva si aprirebbero le porte per un nuovo scenario. Inutile nascondere che lo sforzo maggiore che potrebbe garantire una maggiore attenzione degli investitori è quello relativo alle riforme strutturali che potrebbero ridare competitività alle aziende, maggiore profittabilità ed una ripresa del ciclo economico.

Analisi dei prossimi scenari La proiezione della banca centrale statunitense vede nei prossimi dodici mesi l’avvio di un corso di politica monetaria restrittiva coerentemente al rafforzamento del ciclo economico. Questo segnale viene offerto in questi giorni dalla Presidente della Federal Reserve Janet Yellen che in ogni sua apparizione mediatica non perde occasione per parlare della necessità di una normalizzazione dei tassi di interesse. La sua considerazione sembra anticipare una previsione positiva sulla crescita del GDP Usa nella seconda parte dell’anno visto che il primo trimestre si chiuderà secondo le stime in negativo, mentre il secondo non brillerà: l’attuale rallentamento viene legato dalla Fed a semplici fattori transitori. L’organo direttivo FOMC continua a giocare su due opposti fronti, ovvero quello di ‘colomba’ allungando idealmente i tempi di intervento, e di ‘falco’ per comunicare che la decisione è prossima e saranno i miglioramenti dei dati macro ad aprire il ciclo di rialzi.

La scelta degli attivi I gestori di portafoglio si stanno attivando nella valutazione degli impatti di un rialzo dei rendimenti obbligazionari, soprattutto sui portafogli più legati ai titoli a tasso fisso e ai Treasury decennali. Tra le analisi rilevanti è interessante sottolineare quella relativa alla classe di attivo delle obbligazioni convertibili in azioni. Secondo gli studi americani afferenti le serie storiche più lunghe, dal 1972 ad oggi, le convertibili americane hanno dimostrato un’ottima performance battendo in assoluto sia l’azionario (S&P500) che le obbligazioni High Yield ed Investment Grade. Anche le analisi sulla classe di attivo globale dal 1993 che utilizzano l’indice delle convertibili Thomson Reuters Global Focus Index evidenziano lo stesso andamento.

Efficienza e Correlazioni Si deve considerare che nel periodo considerato sia il mercato azionario che quello obbligazionario hanno avuto importanti benefici proprio dal periodo di rendimenti in calo e minore volatilità. Nonostante le convertibili siano spesso considerate un proxy delle azioni la loro efficienza, misurata nella frontiera efficiente, è paragonabile a quella dei bond. Ora, tenendo conto di un possibile scenario di risalita dei rendimenti, è interessante notare che la correlazione tra la classe di attivo delle convertibili ed i Treasury risulta negativa. Dai dati storici, durante i sei periodi di aumento dei rendimenti dei titoli del Tesoro statunitense (pari a 33 trimestri dal 1984), l’indice Thomson Reuter Global Convertible ha avuto un rendimento annualizzato del 20%, in virtù della buona tenuta del mercato azionario.

Uno strumento utile nel portafoglio Secondo gli studi l’asset class delle obbligazioni convertibili non solo risulta quindi un ottimo strumento di diversificazione, ma si dimostra una soluzione ‘semplificata’ nella gestione tattica Risk Off – Risk On, che utilizza i mercati azionari ed obbligazionari in modo alternante e complesso. Il valore dei rendimenti asimmetrici delle convertibili sta crescendo nel tempo e il loro ruolo sembra poter assumere un peso maggiore nella logica di allocazione strategica dei portafogli di investimento anche in una fase come quella delineata dalla FED.

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