Gestori e risk manager

di Claudio Barberis, responsabile asset allocation Moneyfarm

Il mercato dell’asset management in Italia e in tutto il mondo sta vivendo in questi ultimi anni una fase positiva, per tanti motivi. Il buon andamento dei mercati ha fatto crescere le masse gestite e i profitti delle società di settore. Hanno pesato i regolatori, riducendo per legge il ruolo e il potenziale d’azione delle banche d’affari e commerciali, con requisiti più stringenti su leva finanziaria e detenzione di rischio e quindi lasciando un ruolo maggiore ai gestori, che non a caso da sempre vengono definiti nell’industria real money. Il pendolo di profitti e prestigio si è mosso dalla cosiddetta sell-side – le banche d’affari, alla buy-side – i gestori appunto, che detengono il capitale dei loro clienti e comprano asset finanziari per investirlo. Da ultimo, in un mondo caratterizzato da eccessi di risparmio di ogni tipo e tendenze demografiche che si traducono naturalmente in maggior propensione al risparmio, i fondi, i fondi pensione e i fondi sovrani detengono e muovono oggi masse enormi sui mercati.

La Banca Centrale d’Inghilterra da qualche tempo ha posto l’attenzione su quali potrebbero essere le fonti di rischio legate a questo nuovo ruolo degli asset manager, in particolare ad alcuni aspetti legati all’alta concentrazione delle masse tra i players più grandi e al fatto che molti di questi gestori potrebbero muoversi con idee comuni, causando ondate di flussi e deflussi da alcuni mercati non sempre liquidi. Questo è solo uno degli esempi che mostrano come il tema della gestione del rischio, sistemico e del singolo cliente, è oggi sempre più importante anche per chi gestisce il risparmio.

La rinascita dell’asset management avviene quindi in concomitanza con una ormai decennale enfasi su temi di risk management, a tutti i livelli e in tutti i ruoli legati alla finanza: banche, gestori e intermediari finanziari di ogni tipologia. Le stesse banche centrali sono concentrate in una macro-gestione del rischio globale sui mercati, con politiche di sostegno che continuano ad essere rinnovate nella convinzione che le economie potrebbero non sopportare l’impatto di ondate di volatilità che naturalmente si dovrebbero vedere sui mercati.

Nell’asset management si vede questa enfasi sul risk management anche nei numeri di raccolta dei prodotti Multiasset, che fanno asset allocation e quindi diversificano con tecniche di vario tipo i risparmi dei clienti su tutte le principali asset class, creando portafogli globali in grado di affrontare le turbolenze dei mercati: rispetto ad un tempo, vengono venduti meno prodotti azionari o settoriali puri. Quest’enfasi sul risk management è diventata così permeante e insistente che alcuni cominciano a pensare che stia mettendo un freno ad alcune funzioni che la finanza deve avere sui mercati.

Diversificare il rischio è un bene ed è un bene che il risparmiatore finale abbia un portafoglio investimenti non concentrato su pochi titoli, magari solo del suo paese d’origine.

Però la finanza deve essere per natura un’attività in cui si prendono rischi – più o meno conosciuti. L’asset manager, che detiene capitali e deve investirli, non può dimenticare l’aspetto imprenditoriale del suo ruolo e il fatto che prendere rischi è parte naturale del suo lavoro.

Esistono prodotti di asset allocation oggi in cui la costruzione del portafoglio è limitata esclusivamente a scelte di risk management, come alcune strategie di risk parity.

La ricetta tradizionale di chi fa costruzione di portafoglio prevede la definizione di aspettative di rischio e di rendimento per le asset class utilizzate: perseguire la pura diversificazione del rischio significa rinunciare a un set importante di informazioni utili per un investitore. Anche perché non è detto che si sia oggi più competenti di ieri a capire e prevedere la natura del rischio di un dato investimento finanziario.

Avere una solida funzione di risk management all’interno di una società finanziaria è necessario. Ma il vero risk manager di un portafoglio può essere solo il gestore stesso, consapevole che proprio la presenza di un rischio giustifica l’aspettativa di un rendimento e quindi la scelta di investire.

Il gestore deve essere anche colui che cerca di identificare rischi nuovi: solo chi ha in mano portafogli obbligazionari dell’Eurozona che rendono poco e hanno una duration molto maggiore che in passato, può riconoscere un rischio che non si vede in alcuna serie storica o analisi che spazi nell’esperienza dei trascorsi trent’anni.

Vista la portata e le conseguenze della crisi, è comprensibile e auspicabile una maggior attenzione al risk management. Ma una finanza in mano ai risk managers sarebbe una triste eredità della crisi, che toglierebbe energia alla forza creativa e imprenditoriale presente nel sistema e farebbe dormire sonni irragionevolmente tranquilli a regolatori e clienti finali.

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