Crisi greca: il riposizionamento del fondo JB Multi Asset Strategic Allocation

di Massimo De Palma, responsabile del Team Multi Asset Class Solutions di GAM Italia SGR

Il “coup de theatre” dello scorso 27 giugno, con il quale il governo greco ha indetto la consultazione popolare domenica 5 luglio, ha fatto entrare la crisi greca nel culmine del suo terzo atto. Eppure sono notevoli le differenze con quanto accaduto nel 2010 e nel 2012. In particolare evidenziamo che:

– le crisi precedenti, in special modo la prima, avevano trovato totalmente impreparate le autorità politiche e monetarie. Quella del 2010 aveva rivelato la fragilità delle pubbliche finanze di molti Stati dell’area euro, proprio nel momento in cui alcuni di questi erano chiamati a ricapitalizzare il proprio sistema bancario. Un vantaggio della crisi attuale è dunque il fatto di avvalersi dell’esperienza nel frattempo acquisita. Sono stati infatti debitamente approntati meccanismi cosiddetti “firewall” (programmi OMT, ELA, avanzamenti nell’unione bancaria) per evitare o perlomeno contenere i rischi di contagio all’interno dell’area euro. Il giudizio della Corte Europea sull’ammissibilità degli acquisti dell’OMT è stato di cruciale importanza, perché consente alla BCE piena libertà di azione in caso di nuove tensioni su altri Paesi emittenti;

– nel caso di deflagrazione della crisi la BCE, oltre a contare sull’OMT potrebbe annunciare nuove misure espansive, tali da limitare il contagio alle altre aree deboli della zona euro;

–  i momenti di impasse del 2010 e 2012 avevano fra le “vittime designate” molte banche europee, soprattutto francesi e tedesche, pesantemente esposte al debito greco. Oggi la situazione è molto diversa e se si eccettuano le banche elleniche, per definizione legate a doppio filo ai destini del proprio Paese, l’esposizione degli intermediari europei è molto limitata;

–  il debito greco, pari a circa 300 miliardi di euro, è per l’80% nelle mani di Stati dell’area euro (attraverso i programmi di Financial Stability e i prestiti dell’Unione Europea), di BCE e Fondo Monetario. Questo sposta il problema dal sistema bancario ai conti di finanza pubblica ma, come detto sopra, l’esperienza di questi anni fa sì che i vari Paesi sembrino maggiormente attrezzati per gestire gli eventuali picchi di nuove crisi. E vale anche per i Paesi periferici, interessati finalmente da un miglioramento della congiuntura e con deficit in quasi tutti i casi rientrati nel limite del 3%;

– un elemento negativo rispetto ai primi “due atti” è dato dalle condizioni di liquidità dei mercati. Le nuove richieste regolamentari riguardanti la patrimonializzazione bancaria hanno certamente il pregio di migliorare la sicurezza del sistema ma comportano l’effetto secondario di una consistente diminuzione delle giacenze di titoli sui libri degli intermediari.

Il passato non è quindi d’aiuto per prevedere i possibili sviluppi, e le conseguenze degli eventi che il referendum greco ha messo in movimento. La crisi riguarda dinamiche economiche e finanziarie ma la sua risoluzione è squisitamente politica. Come ha scritto il Financial Times “la finanza è una pistola ma è la politica che preme il grilletto”.

Mentre redigiamo queste note la maggiore società di brokeraggio inglese, William Hill, ha sospeso le scommesse sulle probabilità dell’evento Grexit: “è una situazione così volatile e gli eventi si susseguono così rapidamente, che è estremamente difficile stimare con cura le probabilità di qualsiasi esito” ha detto un portavoce. Impossibile dunque trarre previsioni che non siano pure scommesse.

Allo stato attuale, con il mancato pagamento della tranche di debito di 1,6 miliardi di EUR nei confronti del Fondo Monetario, in scadenza al 30 giugno, la Grecia e l’Europa entrano in quelle “acque sconosciute” evocate da Mario Draghi poche settimane fa. Data la speciale condizione del creditore, le conseguenze per il momento potrebbero essere limitate e non dovrebbero scattare immediatamente le procedure concorsuali ordinarie e neppure i rimborsi sui CDS.

La sola certezza è la data del 5 luglio, quando il popolo greco sarà chiamato ad esprimersi sulla proposta di accordo dei creditori oppure, come ha detto Angela Merkel, a scegliere tra euro e dracma.

La decisione del governo greco ha colto di sorpresa le pubbliche opinioni europee così come i capi di governo e i Commissari impegnati al tavolo delle trattative. Sarà una settimana pesante per il popolo greco, con banche chiuse e l’inevitabile controllo dei capitali, e si allungano inoltre i tempi della decisione e della risoluzione.

Il successo referendario dei “sì”, al momento un’ipotesi probabile, avrebbe il doppio effetto di sconfessare il governo che chiede invece di votare “no” (ed anche questa è una inedita “prima volta” in Europa) e di propiziare la firma dell’accordo, confermando la volontà del popolo greco di rimanere all’interno dell’area Euro.

L’eventuale successo dei “no” aprirebbe a scenari di grave incertezza, che i mercati detestano, ma non costituirebbe ancora un definitivo punto di non ritorno. “Grexit  è un processo, non un evento” sottolinea l’Economist: i Trattati non prevedono esplicitamente la reversibilità della scelta dell’euro, né tanto meno le modalità di un’uscita dall’area comune.

La vittoria dei “no” restituirebbe legittimazione politica a Tsipras e costituirebbe un ulteriore passo verso la possibile uscita ma, nello stesso tempo, favorirebbe il ritorno al tavolo dei negoziati del governo greco con un maggiore potere contrattuale.

In estrema sintesi, anche nel caso di esito negativo della consultazione popolare, il governo greco e le autorità europee potrebbero tornare a discutere dei termini di un nuovo accordo ed evitare il salto nel buio della “Grexit”.

L’incentivo a continuare a lavorare per una conclusione positiva è forte per entrambe le parti: gli Stati europei non possono accettare un’insolvenza di queste proporzioni e, d’altro canto, l’abbandono della Grecia della moneta unica aprirebbe davvero una fase di autentico caos finanziario, con il sistema bancario greco che imploderebbe una volta privato dell’ossigeno fornito dalla BCE.

La politica d’investimento del fondo JB Multi Asset Strategic Allocation (JB MuSA) è stata naturalmente orientata ad una progressiva, maggiore prudenza nel posizionamento di portafoglio.

Il VaR, parametro di monitoraggio dell’utilizzo del budget di rischio, si attesta all’1,9% mensile (dati al 25/06/2015), contro un limite del 3%. Tale valore non ha subito incrementi nell’ultimo periodo nonostante l’aumento dell’incertezza.

In maggiore dettaglio, la nostra operatività è stata caratterizzata da:

–          alleggerimento del peso azionario a circa il 20% ad aprile, con presa di profitto sull’azionario europeo (ETF MSCI Europe, settori ciclici, banche);

–          vendita del BTP decennale e, nelle settimane successive, riduzione dell’esposizione periferica mediante l’uscita dal BTP trentennale e dal decennale irlandese. Con queste operazioni la duration della componente periferica di portafoglio è di circa 0,5 anni, mentre quella complessiva è di 1,6 anni.

Negli ultimi giorni abbiamo aumentato tatticamente la componente di liquidità di portafoglio portandola al 9%. In questa fase è difficile trovare asset class e/o strategie decorrelate, come dimostrato negli ultimi giorni dall’andamento del dollaro, e preferiamo monitorare con attenzione l’evolversi della crisi prima di modificare in modo significativo l’allocazione del portafoglio (incrementando o decrementando il rischio).

Il mercato è nervoso e sensibile alle singole dichiarazioni degli attori coinvolti, generando erraticità e cambiamenti di tendenza repentini. Pertanto cerchiamo di mantenere razionalità nelle scelte, evitando di inseguire movimenti di breve termine.

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