“Il canarino non canta più”

Dai minimi di aprile i rendimenti del Bund hanno guadagnato 80 punti base. Il segmento obbligazionario a lungo termine del mercato ha perso il 20% a livello di prezzi. Da inizio anno, i rendimenti total return del mercato obbligazionario sono stabili o negativi. Nessuna sorpresa, siamo in una fase di bear market. O meglio, ci troviamo in una prima fase di un mercato ribassista, caratterizzato da condizioni favorevoli in termini di prospettive macroeconomiche. Si tratta di un mercato ribassista che non presenta una correlazione positiva tra variazioni dei tassi (in alto) e spread sul credito (in ampliamento). Per il momento, non si è verificata una vera fuga degli investitori dal mercato obbligazionario. C’è ancora fiducia nel QE, nei bassi tassi d’interesse e resta un’aspettativa su un’economia non così forte e su una tendenza di non crescita dell’inflazione. In questa situazione, è possibile che non si giunga alla fase due in tempi brevi. Sia il mercato azionario che quello del reddito fisso sono ancora sostenuti da fondamentali accettabili. Ma le cose possono cambiare in fretta e non si può escludere che l’estate sarà dominata dalla volatilità, dal dramma della Grecia e da una ritirata degli investitori dal mercato.

Ci siamo vicini? Il proverbiale “canarino nella miniera di carbone” ci sta segnalando la presenza di gas? Siamo già in un mercato ribassista? Nel mio ultimo articolo ho detto che il mercato obbligazionario europeo potrebbe avere toccato i minimi e che sono evidentemente stati i rendimenti negativi dei titoli ad allontanare gli investitori, confermando così l’importanza delle valutazioni. I movimenti dei prezzi da fine aprile a oggi sono certamente in linea con l’ipotesi di un mercato ribassista. Il prezzo dei Bund decennali di riferimento con scadenza 2025 con rendimento allo 0,5% è sceso del 7% dal 20 aprile, mentre quello del titolo di riferimento trentennale è diminuito del 20%. L’equivalente aumento dei rendimenti appare molto aggressivo se visualizzato sotto forma di grafico – rendimento trentennale e decennale aumentati rispettivamente di 100 punti base e di 80 – soprattutto nel contesto dei precedenti 14 mesi di continua flessione generalizzata dei rendimenti obbligazionari europei.

L’equivalente aumento dei rendimenti appare molto aggressivo se visualizzato sotto forma di grafico – rendimento trentennale e decennale aumentati rispettivamente di 100 punti base e di 80 – soprattutto nel contesto dei precedenti 14 mesi di continua flessione generalizzata dei rendimenti obbligazionari europei. A fronte di tutto ciò, chiedersi se il calo dei rendimenti delle obbligazioni core possa essere l’inizio di un mercato ribassista sembra piuttosto pleonastico – di fatto, il mercato ribassista è già iniziato. Una flessione azionaria del 20% sarebbe considerata espressione di un mercato ribassista, e i detentori di titoli di debito europei a lunga scadenza hanno appena subito un calo di questa entità.

Fase 1, aumento dei tassi, miglioramento dell’outlook I mercati ribassisti sono sempre caratterizzati da diverse fasi e, considerata le complessità del mercato obbligazionario globale, sarebbe troppo semplicistico affermare che la situazione odierna è quello che è e che ora assisteremo a un ulteriore aumento dei rendimenti. A differenza dei mercati azionari, nel reddito fisso abbiamo almeno un punto saldo, costituito dai tassi d’interesse, che almeno per il momento non registreranno variazioni. Per di più, non è detto che i vari fattori di rischio presenti si muovano tutti nella stessa direzione nella fasi di correzione del mercato. Finora abbiamo assistito semplicemente a una variazione dei “tassi” nella misura in cui i grandi movimenti dei prezzi si sono verificati sulle curve dei rendimenti dei titoli sovrani (rendimenti sottostanti) e, nello specifico, con un irripidimento delle curve determinato dall’aumento dei premi al rischio a termine.

Gli spread sul credito sono rimasti per lo più molto stabili – quanto meno per quanto riguarda i mercati delle obbligazioni, con qualche variazione al rialzo degli spread su indici di CDS da metà maggio. Come possiamo perciò classificare la prima fase di questo mercato obbligazionario ribassista se non c’è stato alcun cambiamento di politica monetaria in Europa o negli USA e non ci sono segni di un diffuso deterioramento del settore del credito? Credo che la sua origine vada ricercata nelle valutazioni e nel fatto che molti investitori hanno preferito evitare di acquistare titoli con rendimenti molto inferiori al livello di remunerazione atteso o auspicato (e già ridotti all’osso negli ultimi anni). Ma hanno avuto un peso anche il sentiment e le scelte di riposizionamento. Il sentiment è cambiato perché c’è più ottimismo riguardo all’ambiente economico. L’indice PMI manifatturiero relativo all’Area Euro – un indicatore accreditato dell’attività delle imprese – si colloca sopra il livello estremo di 50 dall’estate del 2013 e, dopo una flessione nel terzo trimestre dello scorso anno, ha ripreso a salire.

L’inflazione nell’Area Euro si è allontanata dallo zero: il dato provvisorio di maggio è del 0,7% a/a. I tassi di disoccupazione si sono leggermente ridotti. Il piano di QE delle BCE è arrivato senza volerlo al momento opportuno – è stato avviato proprio quando si iniziava a registrare un miglioramento dei dati, al termine del processo di asset quality review del settore bancario europeo e dopo un massiccio crollo dei prezzi petroliferi. Se, da un lato, sappiamo che la BCE acquisterà grandi quantità di obbligazioni in Europa ancora per diverso tempo, c’è stata anche una rivalutazione dell’outlook a medio termine, ed è pertanto logico che i mercati scontino tassi a lungo termine più alti rispetto a quelli offerti dal mercato nel primo trimestre. E non dimentichiamoci che, là fuori, c’è un grosso acquirente intenzionato ad assorbire la vendita di titoli di Stato costosi. Nonostante i numerosi aneddoti tecnici sulle caratteristiche specifiche di questa ondata di vendite (mercato dei futures o mercato a termine, modelli dei consulenti per le negoziazioni sul mercato a termine, riposizionamento dei gestori), la realtà è che c’è stata una revisione dell’outlook a medio termine che ha fatto riemergere aspettative di tassi d’interesse a termine più realistiche.

Forse non è ancora finita Questa situazione sarà sostenibile senza un cambiamento a livello di politica monetaria? Certamente c’è ancora margine per un ulteriore irripidimento delle curve dei rendimenti e per un ulteriore ribasso delle obbligazioni a più lunga scadenza, anche senza variazioni dei tassi d’interesse a breve termine. Lo spread tra Bund a 10 e a 2 anni attualmente è di 68 pb. Negli ultimi anni questo differenziale ha raggiunto persino i 240 punti base. Lo stesso sta accadendo in USA e Regno Unito, dove attualmente lo spread di questo tratto della curva dei rendimenti si colloca nettamente nel quartile più basso del range degli ultimi cinque anni. Considerato il cambiamento di umore del mercato, non si può escludere un ulteriore irripidimento. Tuttavia, in Europa i tassi resteranno bassi a lungo e la BCE ha preso l’impegno di portare a termine il suo programma di QE. Questa situazione porterà molti a credere alla presenza di un tetto sui tassi, che, naturalmente, potrebbe sempre essere più alto del quasi 0,85% di rendimento sui Bund a 10 anni che spicca sulla mia schermata Bloomberg mentre sto scrivendo. Pensate per un momento alle valutazioni. Il rendimento a 10 anni dovrebbe essere l’esito della combinazione tra la previsione dei tassi d’interesse reali a lungo termine in Europa e le aspettative d’inflazione a lungo termine. Attualmente risultano tassi d’interesse reali ancora molto negativi e aspettative d’inflazione intorno all’1,2% (per i Bund). I rendimenti reali potrebbero salire ancora nel momento in cui si rafforzerà la fiducia nella ripresa, così come potrebbero aumentare le aspettative inflazionistiche. Tutto ciò potrà verificarsi a condizione che la BCE tenga fede alle sue attuali posizioni. La cosa che più mi è rimasta impressa nei commenti di Mario Draghi di questa settimana è la sua dichiarazione al mercato di aspettarsi una maggiore volatilità. Credete che sia un fan dei Bachman Turner Overdrive? (il riferimento è criptico, lascio a voi il compito di inquadrarlo). Dopo tutto, i rendimenti sono esattamente al livello dello scorso novembre.

Nessuna capitolazione In sintesi, nella fase uno del mercato obbligazionario ribassista, i tassi sottostanti sono risaliti da livelli bassissimi per effetto del miglioramento delle aspettative riguardo alla congiuntura europea e dell’attenuarsi dei timori di deflazione su scala mondiale. In alcuni segmenti del mercato obbligazionario i prezzi hanno subìto una decisa flessione. Ma come è andata dal punto di vista degli investitori? A giudicare dalla performance degli indici obbligazionari, i risultati da inizio anno sono stabili o leggermente negativi per quasi tutti gli indici di titoli di stato e investment grade, ivi inclusi gli indici aggregati compositi. Ad esempio, un indice obbligazionario globale costituito da titoli di Stato e obbligazioni investment grade ha un total return da inizio anno di -0,22%. Non certo un disastro.

Il rialzo dei tassi non ha ancora avuto ricadute evidenti sui rendimenti obbligazionari. Negli ultimi anni, le performance obbligazionarie in termini di total return sono state straordinarie. Forse per questo motivo gli investitori non hanno smesso di acquistare obbligazioni. Non so se si sia già verificata una capitolazione nel mercato del reddito fisso. Anzi, sono certo che non ci sia stata. Credo che, nel caso dovesse manifestarsi, la capitolazione potrà accadere in due modi, se e quando il mercato ribassista passerà alla fase due.

Yellen è ancora importante Il passaggio alla fase due potrebbe essere scatenato da un cambiamento della view sui tassi d’interesse a termine, basata di fatto su una svolta della politica monetaria. Ma quanto è probabile? Forse non molto nel breve termine, considerato che, a livello mondiale, le banche centrali continuano a mantenere politiche monetarie accomodanti. Gli occhi di tutti sono puntati sulla Fed, in attesa di indizi che ci facciano capire se il FOMC è abbastanza fiducioso da intraprendere un diverso approccio monetario. Non basta che la Fed accenni al fatto che la congiuntura potrebbe essere abbastanza solida da consentire la fine della politica di tassi a zero. Dovrebbe essere pronta a riportare i tassi a breve in territorio positivo in termini reali, vale a dire con un aumento di 150-200 pb. C’è un solo scenario in cui questo potrebbe accadere – verosimilmente preceduto da continui tentennamenti del FOMC, che finirebbe per intervenire solo quando dovesse rendersi conto di essere in ritardo. In uno scenario di questo tipo, i rendimenti dei Treasury avrebbero un’impennata, che spingerebbe al ribasso tutti gli altri asset. Ma, ad essere sincero, è poco probabile che ciò si verifichi a breve. L’economia USA non appare così solida (una crescita del due e qualcosa percento?) e l’inflazione resta per il momento bassa.

C’è qualcuno avverso al rischio? L’altra manifestazione di una fase due del mercato ribassista sarebbe un maggiore movimento risk-off del mercato. Come accennavo, gli spread del credito e dei titoli high yield sono rimasti pressoché invariati da un mese circa a questa parte. Lo stesso vale per lo spread del credito EM in valuta forte. I mercati azionari hanno raggiunto nuovi massimi solo un paio di settimane fa. Questi dati sono coerenti con l’ipotesi di un adeguamento dei tassi a migliori prospettive di crescita economica, tipico della fase uno. Non è facile individuare sistematicamente cattive notizie provenienti dal mondo delle imprese o preoccupanti segni di deterioramento dei trend del mercato creditizio. Le aziende dispongono di liquidità, hanno livelli di leva finanziaria accettabili e con interessi bassissimi. La domanda di credito è più forte che mai.

Questa settimana, una banca britannica ha annunciato l’emissione di un’obbligazione subordinata che ha registrato una domanda pari a 10 volte l’ammontare emesso. La ricerca di rendimento prosegue ancora e gli investimenti obbligazionari migliori del 2015 si sono concentrati nei segmenti del mercato con rendimenti superiori (BofA Merrill Lynch Contingent Capital Index, con un rendimento del 6,4%, ha registrato un total return da inizio anno del 5,6%).

Apparentemente va ancora bene nel segmento corporate Da questo momento in poi, un rialzo dei tassi determinato da un ulteriore irripidimento delle curve o dal timore di una svolta della politica monetaria potrebbe avere un impatto sugli spread creditizi e provocare un netto abbassamento complessivo dei total return. Questo rischio sarà presente per tutto il prossimo anno, ma probabilmente non sarà sufficiente a indurre negli investitori un approccio molto difensivo. Nella misura in cui il QE continuerà a immettere liquidità nei mercati finanziari e fintanto che i fondamentali sottostanti saranno ancora favorevoli, le valutazioni potrebbero stabilizzasi su livelli elevati anche a lungo. È proprio ciò che sta accadendo in questo momento. Nonostante qualche segnale di allarme per i rischi presenti a livello economico, azionario e del credito, il “canarino economico”, il “canarino azionario” e il “canarino del credito” sono tutti ancora vivi e vegeti, anche se il “canarino dei tassi” è caduto dal suo trespolo. In breve, è ancora sensato limitare la duration e, almeno per il momento, restare investiti in credito e titoli high yield.

Un canarino rarissimo? Non so esattamente come se la passi il “canarino” greco anche se, tanto per mescolare i riferimenti metaforici, verrebbe da pensare al pappagallo morto dei Monty Python. È difficile credere che siamo prossimi a giungere ad una soluzione positiva, dal momento che la Grecia ha annunciato un ritardo nel rimborso dovuto al FMI e che, da alcune indiscrezioni, pare che il Primo ministro Tsipras si incontrerà col Presidente russo Putin, quando forse dovrebbe cercare di pervenire a un accordo con i colleghi dell’UE. Il problema è che non sappiamo che cosa aspettarci dalla Grecia, ma credo che in questo momento abbia molto senso prepararsi al peggio. Fino a questo momento i mercati non hanno avuto reazioni decise alla crisi greca, ma un suo esito negativo potrebbe scatenare un clima di avversione al rischio. Gli asset denominati in dollari USA a breve duration saranno l’obiettivo naturale sui cui puntare se dovesse concretizzarsi il default del paese, prospettando in tempi brevi una sua uscita dall’Euro.

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