Cina, una forte svalutazione dello yuan sarebbe un errore

Il tasso di crescita economica in Cina è sui minimi degli ultimi 25 anni. E per quest’anno gli economisti del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) che hanno rivisto al ribasso le aspettative sul Pil al 6,3%, mentre per il 2017 stimano un’ulteriore discesa al 6 per cento. Una delle problematiche che dovrà affrontare il Paese nel biennio 2016-2017 è poi il calo degli investimenti esteri che anche lo scorso dicembre hanno registrato un calo del 5,8% a 12,23 miliardi di dollari.

Secondo Mark Hart, hedge fund manager che aveva scommesso contro i mutui subprime e il debito sovrano europeo prima delle rispettive crisi, la soluzione è una svalutazione dello yuan del 50%. Così facendo non solo si avrebbe un disincentivo alla fuga di capitali e un impulso all’export, ma si fisserebbe un nuovo punto di partenza per la valuta evitando di ridurre ulteriormente le riserve in divise estere.

Tuttavia, fa notare Michael Palatiello, strategist di Wings Partners Sim, nella sua analisi Hart trascura gli effetti negativi che una politica di svalutazione avrebbe sulla massa del debito da 1.500 miliardi di dollari che le compagnie cinesi detengono espresse in valuta estera, che salirebbero di valore incrementando le probabilità di fallimento delle società asiatiche.

Il Fmi prevede inoltre che l’economia globale crescerà del 3,4% quest’anno e del 3,6% il prossimo, una revisione negativa di due decimi di punto rispetto alla precedente stima pubblicata a ottobre. Secondo Morgan Stanley invece salgono al 20% le probabilità di una recessione globale, definita come tasso di espansione del PIL inferiore al 2,5%, ovvero un valore insufficiente a tenere il passo con l’incremento della popolazione.

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