Elaborare una strategia in Europa in un contesto volatile

Paul Doyle, gestore e responsabile azionario per l’Europa di Columbia Threadneedle Investments

Per le azioni europee questo è stato l’inizio d’anno più deludente degli ultimi 40 anni, a causa del continuo rallentamento in Cina, della debolezza della domanda industriale e del calo dei prezzi del petrolio e di altre materie prime. Tuttavia, questo contesto offre agli investitori molteplici opportunità e appare promettente per gli stock picker attivi.

Mercati volatili La debolezza della Cina e della domanda industriale rappresenta un ostacolo per le società esposte alla spesa per investimenti. I commentatori hanno descritto questo crollo dei mercati come la terza ondata della crisi finanziaria iniziata nel 2008 (la prima ha colpito il mercato residenziale USA e quello dei mutui sub-prime, la seconda l’Eurozona), che si concretizza con la debolezza delle materie prime e dei mercati emergenti. Secondo la loro tesi, proprio come è accaduto negli USA e in Europa, questa fase si concluderà con deprezzamenti valutari in mercati emergenti come la Cina.

Gli indicatori dell’attività economica hanno evidenziato una buona tenuta, ma i PMI manifatturieri si sono indeboliti e le borse europee appaiono sensibili al ciclo produttivo globale. Tuttavia, l’impatto diretto del rallentamento della crescita in Cina sull’Europa è piuttosto contenuto. Secondo Goldman Sachs, un calo dell’espansione cinese dell’1% ridurrebbe quella europea di 25 pb in due anni, mentre una flessione del 10% del prezzo del petrolio stimolerebbe la crescita in Europa.

Anche se gli effetti economici possono essere limitati, le conseguenze sul mercato azionario sono significative: le borse europee sono più esposte al settore manifatturiero rispetto all’economia del Vecchio Continente. Ciò è vero soprattutto per la Germania, i Paesi Bassi e la Svizzera (anche se nel caso di quest’ultima il problema è più circoscritto, trattandosi in particolare del solido settore sanitario). La Cina rappresenta il 6,5% delle vendite europee, ma il 10,2% di quelle tedesche e meno per Italia (3,6%), Spagna (3%) e persino Francia (5,3%).

La crescita economica prosegue L’aspetto interessante per gli investitori è che, anche se il sentiment generale del mercato azionario è negativo, i dati economici sono favorevoli. L’indice IFO raggiunge nuovi massimi e il PMI composito dell’eurozona è prossimo ai picchi del 2011 (prima dell’inizio della crisi in quest’area). Analogamente, l’aggregato M3 e i dati sui prestiti bancari sono positivi, l’erogazione di credito accelera e la fiducia dei consumatori ha messo a segno un miglioramento: in Italia, ad esempio, è ai massimi degli ultimi 20 anni. La politica monetaria rimane un fattore di sostegno e gli stimoli sono stati incrementati a dicembre. L’area euro sembra destinata a registrare una crescita degli utili a due cifre nel 2015, rispetto a un’espansione quasi nulla negli USA.

Su questo fronte, negli Stati Uniti sono già stati osservati dati favorevoli, mentre l’Europa è solo ai primi stadi della ripresa da una ricaduta in recessione. Gli ultimi cinque cicli europei sono durati 20 trimestri o più; quello più breve è stato l’ultimo, di appena otto trimestri.

La crescita dei prestiti privati è divenuta positiva a fine 2014 e segna un’accelerazione. Inoltre, se l’inflazione rimarrà sottotono la BCE continuerà a stampare moneta, il che si tradurrebbe in un ulteriore indebolimento dell’euro.

Si stima che ogni flessione del 10% dell’euro favorirà la crescita del PIL dell’Eurozona di 100 pb in due anni. E ogni flessione del 10% può alimentare le vendite nell’Eurozona di circa il 5%. Ciò è accompagnato da una vigorosa espansione della spesa per consumi dove è presente una domanda potenziale.

La spesa per investimenti dovrebbe riguadagnare terreno. Attualmente si attesta solo al 14,6% del PIL, il minimo mai registrato, rispetto a una media del 15,9% dal 1991. Il recupero della spesa per investimenti in Europa da noi previsto non è una visione condivisa. Anche per gli USA si prevedeva una fase di ripresa modesta, che invece si è rivelata più energica del previsto. Si è trattato di un driver fondamentale per l’aumento dei profitti. Perché non dovrebbe accadere lo stesso in Europa?

Per la prima volta in diversi anni, nel 2015 gli utili nell’area euro hanno superato quelli statunitensi. Le stime di consenso prevedono un incremento del PIL europeo dell’1,5% lo scorso anno e dell’1,8% nel 2016. Tale espansione è coerente con un vigoroso aumento dei margini e con una crescita degli utili a due cifre. Gli utili delle società europee, esclusi energia e materiali, sono cresciuti del 15% grazie a un aumento del PIL più sostenuto quest’anno, all’indebolimento dell’euro e a un punto di partenza inferiore.

I mercati offrono opportunità Riteniamo che le quotazioni dei titoli europei non scontino i miglioramenti del contesto economico. Il P/E corretto per il ciclo (CAPE) dei titoli europei è inferiore del 13% alla media di lungo periodo. Livelli come quelli attuali di norma si sono tradotti in rendimenti totali del 105% nei cinque anni successivi.

Le valutazioni delle azioni europee rispetto alle obbligazioni hanno raggiunto livelli estremi, esacerbati dal quantitative easing della BCE. Le azioni europee sono interessanti rispetto alle obbligazioni e ai titoli corporate: il premio al rischio azionario rimane elevato, a fronte di spread creditizi contenuti. Inoltre, la differenza tra l’earnings yield e il credit yield è ai massimi dall’introduzione dell’euro.

Da una più attenta analisi dei singoli settori e paesi emerge che anche il flusso di notizie offre opportunità agli stock picker. Nel comparto automobilistico, alla luce dei timori relativi alla Cina e dello scandalo VW, le scorte sono su livelli storicamente convenienti. Abbiamo assunto e incrementato una posizione ridotta nel settore petrolifero, ma attendiamo un picco del dollaro USA per poter osservare una tregua duratura per i settori dell’energia e dei materiali. I titoli finanziari hanno registrato performance deludenti (soprattutto le banche), ma l’aumento della domanda di credito dovrebbe sostenere la redditività del capitale proprio degli istituti. I crediti inesigibili hanno segnato un’impennata e le valutazioni sono contenute.

Pur avendo messo a segno una tra le migliori performance nel 2015, l’Italia ha sottoperformato l’Europa del 50% negli ultimi 10 anni. Tuttavia, nel paese la fiducia dei consumatori è ai massimi degli ultimi 20 anni. In che modo possiamo trarre vantaggio da questa dinamica? Osserveremo le società italiane.

Negli Stati Uniti i bilanci societari sono in deterioramento poiché l’emissione di debito viene utilizzata per finanziare riacquisti di azioni proprie. I margini societari negli USA si impennano. La Federal Reserve ha atteso a lungo prima di incrementare i tassi: sette anni dopo la fine della recessione; di norma, questa politica viene avviata 12 mesi dopo la fine di una fase recessiva. Gli spread dell’alto rendimento si sono ampliati e ciò non è più ascrivibile unicamente ai settori dell’energia o delle commodity. Gli spread non trasmettono un segnale positivo.

Occorre cautela nei confronti del posizionamento in segmenti affollati. Tradizionalmente, gli aumenti dei tassi sono stati accompagnati da flessioni delle valutazioni dei titoli di alta qualità. Questi ultimi quotano con un premio del 100% rispetto ai titoli value/di bassa qualità, ben oltre il premio medio del 50% degli ultimi cinque anni e cinque volte il premio medio del 20% dal 1993.

Questo differenziale di valutazione riguarda in particolare le banche. Insieme al settore dell’energia, quello bancario è tra i più ipervenduti in Europa, avendo sottoperformato il mercato di oltre il 10% dalla scorsa estate. Gli istituti di credito quotano ora con uno sconto del 33% rispetto al mercato: un livello non paragonabile al 50% registrato all’apice della crisi finanziaria, ma comunque il minimo da prima della crisi dell’area euro. Dovrebbero beneficiare della crescita interna in Europa, ma essere ostacolati dai continui interventi delle autorità regolamentari.

Siamo perfettamente al corrente della situazione politica. Al momento la Spagna non ha un governo. La crisi dei profughi prosegue, il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’UE incombe e per il prossimo anno sono previste elezioni in Francia e in Germania.
Nonostante un inizio d’anno deludente, se l’offerta monetaria continuerà ad aumentare al ritmo attuale, i mercati dovrebbero registrare una ripresa. Nell’area euro, il quantitative easing della BCE inizia a produrre effetti sull’offerta di moneta e la recente accelerazione dovrebbe sostenere i rendimenti futuri.

Conclusioni
– La crescita sottostante dell’economia prosegue nonostante la volatilità dei mercati.
– L’impatto diretto del rallentamento dell’espansione in Cina sull’economia europea è piuttosto contenuto.
– L’offerta monetaria e i dati sui prestiti bancari sono positivi, al pari della fiducia dei consumatori.
– Per il 2016 si prevede un miglioramento della crescita del PIL europeo dall’1,5% del 2015 all’1,8%.
– Ciò suggerisce un aumento degli utili a due cifre.
– Gli stock picker possono trarre vantaggio da questo contesto volatile.

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