Non siamo ancora alla fine del ciclo: la view di Neuberger Berman

A cura di Erik Knutzen, Chief Investment Officer Multi-Asset Class di Neuberger Berman
Se il vostro hobby è individuare segnali ribassisti, la scorsa settimana avrete spuntato un sacco di caselle sul vostro taccuino: il rendimento del Treasury a 10 anni è scivolato su livelli che non si vedevano da aprile dell’anno scorso, il dollaro è precipitato e il prezzo dell’oro è schizzato alle stelle.
Non molto tempo fa una cosa simile sarebbe stata archiviata come volatilità causata dal sentiment del mercato, cosa a cui ci siamo abituati nelle prime settimane del 2016. In realtà, di recente molti dati economici di base sono stati deludenti. Gli indici Citi Economic Surprise, indicatori dei fondamentali economici a livello mondiale, sono scesi ai minimi da molti mesi a questa parte. È evidente che ci troviamo in un momento di reale debolezza dell’economia mondiale, un rallentamento più pronunciato di quanto da molti atteso.
Per alcuni si tratterebbe di indicatori precoci di un’imminente recessione mondiale, la fine di un ciclo di business e del credito protrattosi più a lungo degli standard storici.
Non siamo dello stesso avviso. Esaminiamo un insieme di indicatori che hanno goduto di molta attenzione la scorsa settimana, ovvero gli indici PMI (relativi all’attività manifatturiera) considerati un metro di fiducia nel settore degli affari. L’indice PMI del settore manifatturiero si è contratto per un certo periodo e molti cercavano con timore segnali che anche l’indice non manifatturiero stesse facendo la stessa cosa. Come previsto, i dati diffusi mercoledì sono stati molto più al ribasso di quanto atteso.
Ma quell’indice è ancora al di sopra di 50 – cioè ancora in area di crescita. Ad esempio, l’indice PMI composito relativo agli Usa sta ancora indicando crescita economica, così come lo stesso indice su scala mondiale. E, da non dimenticare, la disoccupazione americana è al di sotto del 5% e in ulteriore riduzione, con 151 mila posti di lavoro in più registrati a gennaio. L’indice S&P 500 può aver ceduto terreno nell’ultima settimana ma il prezzo del petrolio in realtà ha riguadagnato in modo notevole dai suoi minimi recenti. Con così tanti segnali contraddittori, non è facile determinare quale sia quello da osservare.
Il nostro team Multi-Asset resta dell’idea che non ci troviamo ancora alla fine di questo ciclo. Possiamo ricordare una correzione simile, avvenuta a metà ciclo, nel 2011. In quell’occasione l’indice S&P 500 scivolò di circa il 20% dai valori massimi a quelli minimi, quindi queste esperienze possono essere davvero dolorose. In ragione di ciò siamo molto cauti nelle nostre previsioni a breve termine. Su un arco di 12 mesi manteniamo una modesta propensione al rischio mentre siamo più fiduciosi riguardo alle nostre previsioni a medio termine, data la correzione che abbiamo visto.
Riteniamo che questo rallentamento finirà per offrire dei punti d’accesso interessanti per aggiungere rischio ai portafogli, in particolare su segmenti del mercato del credito. L’accento è posto, evidentemente, sul “finirà per”. Con la debolezza dei dati recenti e prima di avvertire di aver davvero toccato il fondo assisteremo certamente ad alcuni esempi concreti di default sul mercato del credito, in aumento rispetto a quelli previsti, e ad alcuni re- rating da BBB a BB.
La stessa cosa vale per quanto sta succedendo al petrolio: vogliamo prove dei reali tagli alla produzione da parte di un player marginale non-OPEC (o addirittura di un produttore OPEC), segnali che il calo nel numero di trivelle e delle spese per capitale negli Usa stiano portando ad una riduzione di produzione. Una volta che questi elementi siano incorporati nel contesto – verosimilmente entro l’estate –sarà arrivato il momento giusto per considerare un incremento di rischio.
Fino ad allora saremo molto attenti a qualsiasi ulteriore segnale di deterioramento. Siamo ancora preoccupati in modo particolare per la Cina e qualsiasi altro calo significativo dello yuan ci indurrebbe a rivedere le nostre tesi. Una svalutazione superiore al 10% suggerirebbe che la Cina potrebbe andare verso un atterraggio duro ed innescare guerre valutarie ed una deflazione su scala mondiale.
Tuttavia, questo si allontana dalla nostra ipotesi di base. La nostra parola d’ordine è cautela – cautela nell’andare a caccia di opportunità nel corso dei prossimi mesi.

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