La stabilizzazione del petrolio potrebbe cambiare la view su inflazione e tassi?

A cura di Steven Andrew, M&G Investments
Con la crescita statunitense in buono stato di salute e l’inflazione in aumento, il mercato è decisamente ottimista sui futuri movimenti dei tassi di interesse.  A nostro avviso, è molto poco probabile che l’inflazione presenti un problema per le banche centrali nel breve o medio termine, ma le basi su cui si fondano i cambiamenti delle opinioni di mercato sembrano negli ultimi tempi poco solide, e pertanto soggette a possibili variazioni.
Negli ultimi anni la volatilità del prezzo del petrolio ha esercitato un’influenza notevole sui livelli di inflazione complessiva rappresentata dall’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC), sia da un punto di vista inflativo che deflativo.   Come mostra il grafico seguente, c’è una relazione piuttosto stretta tra le variazioni del prezzo del petrolio e quelle dell’inflazione complessiva.  L’esperienza degli ultimi anni mostra inoltre la natura transitoria di quel rapporto: i prezzi petroliferi non ci dicono nulla delle pressioni inflazionistiche sottostanti, rappresentate dall’l’IPC core.
La stabilizzazione del petrolio potrebbe tradursi in un cambiamento repentino delle opinioni di mercato su inflazione e tassi?
Il calo dei prezzi petroliferi nel corso del 2015 ha esercitato una forte pressione al ribasso sull’inflazione IPCcomplessiva.  Ma una differenza importante rispetto al periodo 2008/2009 (quando i prezzi petroliferi erano scesi in modo simile) consiste nel fatto che l’IPC core ha registrato un’accelerazione, invece che una decelerazione.   Inoltre, il contesto del mercato del lavoro  è decisamente diverso, con un’accelerazione della crescita media degli utili.
Non possiamo sapere quale direzione imboccheranno i prezzi del greggio, ma il consenso degli analisti (per quel che vale) suggerisce che la distribuzione delle probabilità si allontani da una ripetizione del calo del 50% dello scorso anno.  Se ipotizziamo che i prezzi petroliferi resteranno dove sono oggi (28 dollari al barile), la pressione sull’inflazione complessiva inizierà decisamente ad allentarsi da luglio (la linea viola nel grafico 1) e, ovviamente, non rappresenterà più un freno entro gennaio del prossimo anno.
Il grafico seguente illustra questo fenomeno in maniera più dettagliata. A fine 2015 (ultimi dati di inflazione), per effetto dell’energia, l’inflazione IPC complessiva era inferiore di oltre 1% di quanto non sarebbe stata altrimenti.  La linea rossa mostra che tale freno permarrebbe anche se l’energia rimanesse ai livelli di fine 2015 (pertanto, per dicembre 2016, dopo 12 mesi di stabilità, non ci sarebbe alcun impatto sull’inflazione complessiva) e la linea verde mostra il possibile effetto di un aumento  dell’energia di 1% al mese.
La stabilizzazione del petrolio potrebbe tradursi in un cambiamento repentino delle opinioni di mercato su inflazione e tassi?
L’attenzione di mercato si concentra sul rischio di ribasso, sia per l’inflazione che per la crescita.  Tuttavia, le dinamiche dell’inflazione sottostante stanno mostrando un orientamento al rialzo, non al ribasso. E l’economia ha continuato ad espandersi.  Il rischio di un’inversione delle convinzioni di mercato relativamente a inflazione e crescita  è,  pertanto, concreto.
La stabilizzazione del petrolio potrebbe tradursi in un cambiamento repentino delle opinioni di mercato su inflazione e tassi?
Date tali considerazioni, il mercato obbligazionario appare vulnerabile.  Durante l’ultima settimana del 2015, il mercato monetario USA rifletteva una probabilità superiore al 50% di un altro aumento dei tassi da parte della Fed in occasione della sua riunione a marzo 2016.   Questa probabilità  è ora scesa a circa 10%, il livello più basso da un anno.  A nostro avviso, questa evoluzione è stata determinata più dalla volatilità generale dei prezzi degli asset (incentrata, in maniera semplicistica, sul petrolio e sulla Cina) che da un’analisi razionale dei dati fondamentali.
La possibilità di un’inversione di questo comportamento, e delle perdite azionarie ad esso associate,  è molto piu’ concreta.

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