L’attesa della BCE compensa il peggioramento dei dati europei e l’aumento dei rischi politici

a cura di Banca Intermobilare

Sorprese positive sui dati USA e maggior chiarezza di policy in Cina sostengono i mercati La fase di propensione al rischio sui mercati degli asset rischiosi è continuata nell’ultima settimana, guidata principalmente dal restringimento degli spread di credito, dalla sovraperformance dei mercati azionari europei rispetto a quello americano, dalle materie prime e dalle valute cicliche e legate alle commodities. L’estensione del rally è legata al manifestarsi di alcuni dei catalizzatori multipli che avevamo identificato come necessari per stabilizzare i mercati dopo l’andata di stress di inizio anno che aveva reso alcune asset class particolarmente vulnerabili ad un rimbalzo sotto determinate condizioni. In primo luogo il flusso di dati macroeconomici USA ha continuato a sorprendere positivamente, con particolare riferimento alla prima revisione del PIL del quarto trimestre (da +0,7% annualizzato a +1% rispetto a +0,4% previsto dal consenso), agli ordini di beni durevoli (+4,9% mensile in gennaio, +1,8% anche al netto delle componenti più volatili dei trasporti, in ogni caso molto superiori alle attese), alla spesa per consumi (+0,5% mensile in gennaio da 0,1% in dicembre) ed all’inflazione (+1,7% per la misura più seguita dalla Fed). Un’altra sorpresa positiva è giunta dall’ISM Manifatturiero uscito oggi, che ha battuto il consenso, benché ancora sotto la soglia di 50 che segnala espansione dell’attività industriale. Anche se alcuni indicatori di sentiment e sul mercato immobiliare sono risultati deboli all’inizio dell’anno e gran parte della sorpresa positiva sul PIL del quarto trimestre è dovuta ad un ulteriore accumulo di scorte, la view dei mercati finanziari sull’andamento dell’economia USA è nettamente migliorata nella seconda metà di febbraio, come evidente dalla sovraperformance dei settori azionari ciclici su quelli difensivi, e la previsione di crescita del PIL del 2% per il primo trimestre sembra ora poggiare su basi più solide. Della serie di dati positivi ha beneficiato anche il US$, soprattutto contro Euro, poiché il percorso di rialzi dei tassi estremamente lento (50% di probabilità di un rialzo per l’intero 2016 e 30% di un ribasso) prezzato all’apice dello stress a metà febbraio sembra ora meno appropriato.

Dopo un silenzio di circa un mese in corrispondenza delle festività per il Capodanno Lunare, il flusso di notizie dalla Cina è tornato ad attirare l’attenzione degli investitori, facendo un po’ di luce sulla possibile direzione di politica economica che dovrebbe emergere dall’imminente Congresso del Partito Comunista (che comincia il 5 marzo). Dapprima il Governatore della People’s Bank of China ha smorzato le aspettative di un’imminente drastica svalutazione dello yuan. Successivamente nel corso del G20 di Shanghai, che per il resto non ha fornito spunti così rilevanti, ha sottolineato come i policymakers cinesi abbiano ancora ampi margini di manovra ed ha ribadito il concetto annunciando ieri il taglio del coefficiente di riserva obbligatoria delle banche. Sull’andamento dell’economia cinese i dati per i primi due mesi dell’anno sono ancora frammentari ma tendenzialmente negativi, tuttavia la direzione di policy sembra saldamente espansiva, anche se maggiori dettagli emergeranno durante il Congresso.

Sul fronte europeo invece il flusso di notizie è stato complessivamente negativo, anche se è stato più che compensato dagli sviluppi in USA e Cina. Al contrario degli USA, nell’Eurozona i rischi al ribasso per l’economia si stanno manifestando come sorprese negative sui dati macroeconomici, in particolare il PMI Composito di febbraio e l’inflazione tornata negativa. Questo alimenta le aspettative sulla riunione della BCE della prossima settimana, anche se appare difficile identificare un intervento espansivo risolutivo che possa veramente cogliere di sorpresa i mercati; in generale si può ritenere che un’espansione aggressiva del “quantitative easing” sia preferita ad un ulteriore taglio dei tassi, dati i timori per le conseguenze negative sui bilanci bancari di questo tipo di policy. Nel frattempo, il rischio geopolitico continua ad aumentare e rimane generalmente sottovalutato dagli investitori. Mentre i mercati prezzano più o meno aggressivamente alcune situazioni idiosincratiche (Portogallo, «Brexit», ma non Spagna), sono più compiacenti sui fattori sistemici. Anche le elezioni irlandesi hanno confermato il trend di sconfitta dei governi pro-europeisti e di frammentazione dell’elettorato in favore dei partiti populisti ed anti-austerità. La crisi dei migranti si è riaccesa prima del previsto grazie alle temperature miti e rappresenta la minaccia principale al processo di integrazione europeo. Il referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea, a parte l’imprevedibilità del suo risultato e le conseguenze macroeconomiche, ha già creato il precedente molto negativo di un Paese che è stato in grado di rinegoziare una posizione privilegiata rispetto agli altri nell’ambito dell’Unione.

L’andamento dei mercati finanziari conforta generalmente la nostra view di sovrappesare in questa fase le asset class che prezzavano livelli di stress finanziario troppo elevato rispetto ai fondamentali macro e microeconomici e che erano vulnerabili a sorprese di policy, come il credito (corporate investment grade globale, high yield europeo, debito sovrano dei Paesi Emergenti in valuta forte) e l’azionario europeo. Inoltre dovrebbe favorire un ritorno del cambio EUR/US$ verso la parte bassa del range da inizio anno. Conferma peraltro che il sovrappeso di equity europeo dovrà essere probabilmente rivisto post BCE per via delle mutate condizioni macroeconomiche e politiche del continente e che una finestra di sovraperformance delle asset class dei Paesi Emergenti potrebbe presto aprirsi.

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