Si comincia a dubitare dello stato di salute della Corporate America

A cura Deutsche Asset Management

Dopo un forte rimbalzo sulla componente obbligazionaria corporate e sui mercati azionari, aprile si chiude con una nota di maggiore cautela. Maggio si apre al cuore della stagione degli utili, e senza incontri notevoli di banche centrali che possano alterare un quadro di fondo ancora poco chiaro. Come nell’intreccio di odio e amore descritto da Catullo duemila anni fa, ci troviamo oggi in un contesto di fondamentali ambivalenti, in cui ottimisti e pessimisti possono leggere gli stessi numeri con occhi diversi… il verdetto tra le due scuole di pensiero, oggi, non è ancora chiaro.
«Sell in May and go away», recita un noto adagio di Wall Street. Ignorando ogni assunto di “efficienza” dei mercati azionari (che smentirebbe qualunque stagionalità nei corsi), c’è chi fa notare che il mercato azionario statunitense è ancora in territorio positivo da inizio anno nonostante i dati macroeconomici e quelli aziendali mostrino un crescente affanno.

La crescita PIL statunitense è risultata poco sopra lo zero nel primo trimestre (0,125% ovvero 0,5% annualizzato), nonostante gli indicatori sui consumi e sui salari non siano particolarmente negativi. Sul PIL debole non ha influito, come nei due ultimi anni, la rigidità del clima invernale: la colpa della debolezza è attribuibile alla mancata spesa per investimenti (-0,5%) mentre sono buoni i dati sui consumi personali.

Non va meglio per la Corporate America: siamo ancora nel pieno della stagione degli utili, per cui è presto per tirare le somme, eppure i risultati fin qui registrati non sono dei migliori. Con il 62% delle società che ha già riportato i dati trimestrali, le sorprese positive sugli utili sono al 77% (sorpresa media +4%). Purtroppo, però, niente di altrettanto positivo viene dalle sorprese sul fatturato, per non parlare dei dati di crescita: il fatturato cala in media del 2,6% nell’attuale trimestre, mentre gli utili calano in media del 9%.

Insomma, qualcuno comincia a dubitare dello stato di salute della Corporate America se, nonostante le previsioni su questo trimestre fossero particolarmente negative, i risultati non sembrano riuscire a stupire positivamente gli analisti. Esempi notevoli di questa difficoltà vengono la scorsa settimana da Apple, che ha registrato il primo calo di fatturato in 13 anni, e dai risultati di Microsoft.
No news, good news? La scorsa settimana si sono riunite la Fed e la Bank of Japan. Dagli Stati Uniti non ci attendevamo grandi novità: la riunione periodica della Fed, questa volta priva di conferenza stampa, ha prodotto un comunicato equilibrato, in cui continua a trasparire una attenzione agli “sviluppi internazionali economici e finanziari”. Un rialzo tassi oltreoceano è attualmente scontato al 58% di probabilità entro fine anno. Maggio è un mese privo di incontri Bce e Fed, mentre per la riunione Fed del 15 giugno le probabilità di un rialzo tassi sono attualmente soltanto al 12%.

La scorsa settimana la Bank of Japan ha poi deciso di mantenere invariata la politica monetaria, rivedendo però al ribasso le previsioni di crescita PIL e dell’inflazione: su quest’ultimo fronte, ha posticipato ancora una volta l’orizzonte temporale entro cui prevede un rientro dell’inflazione al target del 2%. Peraltro segnaliamo che proprio la scorsa settimana è risultato che l’inflazione giapponese è tornata sotto zero a marzo per la prima volta dall’avvio dell’Abenomics nel 2013. La mossa deludente della Bank of Japan può essere dovuta alla scelta di dar tempo alle misure annunciate a fine gennaio (di cui la principale è l’aver portato il tasso di deposito in territorio negativo) di poter agire.

I mercati non hanno gradito questa scelta e, come lo scorso gennaio, lo Yen ha subito un forte apprezzamento. Viceversa, il dollaro si sta indebolendo contro euro e contro il paniere di valute degli altri partner commerciali. Quest’ultimo indice, definito “trade-weighted”, è tornato ai livelli di fine gennaio 2015. Da inizio 2016 il dollaro si è indebolito, in termini “trade-weighted”, del 5,6%.
La crescita in Eurozona sorprende in positivo La storia, a volte, gioca strani scherzi. L’Eurozona ha raggiunto la scorsa settimana due importanti traguardi, contemporaneamente. Primo: il livello di PIL è tornato ai livelli pre-crisi, superando il livello registrato nel primo trimestre del 2008. Secondo: la crescita PIL nel primo trimestre 2016, a 0,6%, è risultata più vigorosa in termini percentuali di quella degli Stati Uniti e del Regno Unito.

Non possiamo non accogliere positivamente questo traguardo, ma restiamo cauti sulla reale forza di questa lenta e complessa ripresa europea. A 2,2% annualizzato, il dato di crescita PIL dell’Eurozona risulta ben superiore alle sue potenzialità fondamentali di crescita. In particolare, il primo trimestre potrebbe coincidere, probabilmente, con il massimo beneficio del calo dei prezzi del petrolio e dell’euro debole: entrambi i fattori sono ora tornati a giocare a sfavore dell’Area euro. Ciò detto, la maggiore forza delle valute emergenti può dare una mano alle esportazioni europee, per cui la partita per i prossimi trimestri è tutta da scrivere.

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