Via libera dai dati macro Usa e dal Congresso cinese

a cura di Banca Intermobiliare

Con l’inizio di marzo siamo entrati nel periodo in cui si addensano i principali catalizzatori in grado di stabilizzare i mercati e probabilmente di delineare i prossimi trend di breve termine.
Negli USA il flusso dei dati macroeconomici ha raggiunto l’apice mensile con gli indicatori di sentiment ISM ed il report sul mercato del lavoro ed ha generalmente supportato l’idea che la view dei mercati finanziari sull’economia USA fosse troppo negativa ed incorporasse una probabilità di recessione immediata troppo elevata, per lo meno su alcune asset class. Sia l’ISM Manifatturiero che Non Manifatturiero hanno superato le attese, segnalando un allentamento della contrazione nel settore industriale e attenuando i timori circa un allineamento del settore dei servizi alla debolezza del comparto manifatturiero. Dall’altro lato la media mensile negli ultimi 3 mesi di creazione di nuove buste paga non agricole è rimasta elevata a 228.000 unità ed il tasso di disoccupazione è rimasto al 4,9%, con tasso di partecipazione in aumento. Il mercato del lavoro fornisce quindi un segnale di piena occupazione e di crescita superiore al potenziale, nonostante l’andamento dell’attività economica sia generalmente coerente con una crescita più lenta rispetto ai trimestri precedenti (tra l’1,5% ed il 2% annuo negli ultimi 6 mesi) e solo marginalmente superiore al suo potenziale. Il prossimo dato macroeconomico rilevante arriverà solo il 15 marzo con le vendite al dettaglio; nel frattempo gli investitori saranno probabilmente impegnati a calibrare le aspettative per il FOMC del 17 marzo, non tanto sulla possibilità di un rialzo dei tassi, che appare ormai remota, ma sull’andamento dei “dots”, le stime puntuali sui tassi futuri dei membri del FOMC, che attualmente implicano un percorso di rialzo dei tassi molto più ripido rispetto a quello prezzato dai mercati. Infine marzo è cruciale anche per la corsa alle presidenziali di novembre: le primarie in 12 Stati del “Super Tuesday” e quelle successive indicano che in ambito democratico il vantaggio di Hillary Clinton è più evidente, così però come quello di Trump per i repubblicani.

In Cina è iniziato il Congresso Nazionale del Popolo (si chiude il 16 marzo) per l’approvazione del tredicesimo piano quinquennale, che dovrebbe contribuire a diradare l’estrema incertezza sulla linea di politica economica cinese che ha travolto i mercati finanziari all’inizio dell’anno. Ad ora le prime indicazioni sono in linea con le aspettative: il target di crescita per il 2016 è stato fissato a 6,5/7%, nella parte alta delle attese, che implica un significativo sostegno di policy per l’economia, probabilmente più fiscale che monetario come conferma l’aumento del target di deficit pubblico al 3% del PIL dal 2,3% del 2015. Ulteriori dettagli emergeranno nei prossimi giorni, soprattutto con riferimento alla velocità delle riforme strutturali ed agli strumenti di policy. La percezione è che i timori di inizio anno di “hard landing” siano eccessivi ma che gli strumenti di intervento privilegiati siano quelli classici della spesa in infrastrutture e dell’erogazione di credito, che il processo di riequilibrio strutturale dell’economia rimarrà lento e che nel frattempo l’economia cinese rimarrà esposta a rischi deflazionistici significativi.

In Europa il flusso di notizie continua a deteriorarsi, a cominciare dai dati macroeconomici dove i dati definitivi sugli indicatori PMI confermano l’emergere di rischi al ribasso per la crescita per i prossimi mesi e di persistenti pressioni disinflazionistiche. Sul fronte politico la situazione è probabilmente peggiore, dal momento che la gestione della crisi dei migranti rimane subottimale e l’ascesa dei partiti anti-europeisti continua a complicare la formazione di nuovi Governi stabili (si veda l’incapacità dei Socialisti di formare il nuovo Governo in Spagna e l’esito delle elezioni in Irlanda).

L’appuntamento cruciale in Europa è per la BCE di giovedì con l’aspettativa di un significativo potenziamento delle misure monetarie espansive. Il consenso degli economisti contempla l’introduzione di un sistema a più livelli per le riserve delle banche commerciali (analogamente al Giappone ed alla Svizzera) che consenta di spingere il tasso sui depositi ancora al ribasso limitando l’impatto negativo per il conto economico del settore bancario, un allungamento della durata del quantitative easing ed l’incremento di almeno 10 miliardi di Euro al mese del flusso di acquisti a 70 miliardi di Euro al mese ed un rilassamento delle condizioni dei TLTRO e dei vincoli agli acquisti di titoli sul mercato.

Come si posizionano i mercati in questo contesto? Dal punto di vista dei flussi, la fase di rimbalzo legata alle ricoperture è probabilmente nella sua fase finale e l’S&P 500 è ormai quasi a ridosso di resistenze tecniche importanti, come la media mobile a 200 giorni a 2020. I fondamentali del mercato azionario USA non sono di particolare supporto, né dal punto di vista degli utili aziendali né di sostegno dai multipli di mercato. L’attenzione degli investitori inoltre rimarrà molto alta sugli eventi macro (Fed, dati economici USA, Cina, elezioni presidenziali e potenzialmente politica in Europa) mantenendo elevata la volatilità.

In Europa il meeting della BCE di domani è probabilmente l’ultimo catalizzatore prevedibile di sovraperformance dell’equity europeo, anche perché il posizionamento in vista di misure aggressivamente espansive non è così pesante come in vista del meeting di dicembre 2015. Appare tuttavia difficile identificare un intervento espansivo che possa cogliere veramente di sorpresa i mercati, sicuramente non un aggressivo taglio dei tassi che, nell’attuale clima di timori per la solidità del sistema bancario sarebbe controproducente, ma anche un’espansione del quantitative easing deve essere ben orchestrata considerando il recente focus degli investitori sull’impatto decrescente delle misure straordinarie delle Banche Centrali.

Per queste considerazioni il potenziale di rally dell’S&P 500 dagli attuali livelli è limitato anche nella nostra aspettativa che i mercati finanziari sovrastimino il rischio di recessione. La nostra preferenza continua ad andare a quelle asset class che prezzano livelli di stress finanziario troppo elevato rispetto ai fondamentali macro e microeconomici e che sono vulnerabili a sorprese di policy, come il credito (corporate investment grade USA ed Europa, corporate high yield Europa, debito sovrano dei Paesi Emergenti in valuta forte) e l’equity europeo. La nostra view implica anche che il sovrappeso di equity europeo dovrà essere aggiornato sulla base dell’esito della BCE per via delle mutate condizioni macroeconomiche e politiche del continente ed in particolare della nostra percezione che il premio per il rischio politico sia ampiamente sottovalutato.

Pur in assenza di miglioramenti sui fondamentali macro, le asset class dei Paesi Emergenti, in particolare quelle del debito, stanno sovraperformando quelle dei Paesi Sviluppati, grazie al passaggio del focus dei mercati finanziari sull’indebolimento delle economie dei Paesi Sviluppati, alla linea di politica monetaria più «dovish» delle principali Banche Centrali ed all’attenuarsi della negatività sulla Cina e del rischio di svalutazione disordinata dello yuan. Con la progressiva riduzione del rischio percepito di “hard landing” cinese ed il maggior focus negativo sull’Europa, post Congresso Nazionale del Popolo è possibile che la finestra di sovraperformance possa estendersi, soprattutto per l’equity dei Paesi Emergenti.

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