Occhi puntati sul Renminbi

A cura di John J. Hardy, Head of Forex Strategy di Saxo Bank
La scorsa settimana la Bank of Japan ha dato una consistente scossa al mercato. Non solo ha ampliato il programma di acquisti meno del previsto, ha inoltre ritardato le proprie previsioni per il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione del 2 per cento. Lo yen ha reagito portando USDJPY su un nuovo minimo dell’ultimo anno e mezzo, dopo aver incassato la sua più grande perdita giornaliera dai tempi della crisi finanziaria. Con questa mossa, la BoJ sembra aver comunicato al mercato che le banche centrali abbiano ormai tirato troppo la corda ed esaurito gli strumenti a disposizione – i tassi negativi sembrano controproducenti e il programma di acquisti previsto dal QQE ha fisicamente raggiunto i propri limiti.
Venerdì scorso, l’euro ha chiuso contro il dollaro sui suoi massimi di fine settimana da gennaio 2015, sull’idea che la BCE si trovi sostanzialmente nella stessa situazione della BoJ – rifugiandosi su massicci acquisti di titoli e tassi negativi, senza ottenere alcun indebolimento della moneta che protegga da rischi deflazionari.
Nel frattempo, la Fed ha mantenuto la linea da colomba di marzo: ha infatti annunciato di preferire il rischio di un’economia americana eccessivamente stimolata, piuttosto che correre il rischio di destabilizzare l’economia mondiale con la minaccia di ulteriori rialzi dei tassi e di un conseguente rafforzamento del dollaro USA.
Gran parte del rischio di destabilizzazione è concentrato piuttosto sulla Cina, dove la minaccia di violente svalutazioni valutarie nei confronti del dollaro hanno mandato in tilt i mercati per ben due volte nel corso degli ultimi 9 mesi. La debolezza dell’economia statunitense del primo trimestre è stata allora la sua fortuna.
Proprio contro il debole biglietto verde, il renminbi si è relativamente rinforzato, sebbene quest’anno rimanga decisamente più debole rispetto alle altre valute, specialmente in Asia. Il ringgit malese, ad esempio, è salito di quasi il 10% contro il renminbi, circa la stessa forza vista nello yen giapponese: le colombe americane sembrano aver portato grande sollievo a quasi tutte le valute dei mercati emergenti, ad esclusione proprio del renminbi.
Sul fronte politico, tuttavia, piuttosto che sfruttare il più ampio respiro per apportare qualche aggiustamento strutturale per cercare di correggere lo spaventoso accumulo di debito, la Cina continua a puntare sui suoi vecchi metodi per stimolare la crescita del PIL: nuove e massicce iniezioni di credito nell’economia. Le stime dell’Australiana Macquarie Bank parlano del 350% del PIL, cui corrisponde un’accelerazione del rapporto debito/PIL senza precedenti: +100% dal 2008, proveniente per la maggior parte da imprese statali. Si tratta di circa 35 mila miliardi di dollari USA; con un’ipotesi standard che nel ciclo del credito il 10% diventi non performante, la Cina si troverebbe ad avere 3,5 miliardi USD di sofferenze tra le proprie riserve valutare.
Le imponenti iniezioni di liquidità nel sistema mettono sempre più sotto pressione il renminbi, che merita tutta la nostra attenzione per i prossimi mesi grazie alla combinazione degli effetti provenienti dall’atteggiamento da colomba del FOMC e dal tema dell’inutilità degli strumenti di politica monetaria di BCE e BoJ.

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