Il risveglio di metalli e greggio

A cura di Ole Hansen, Head of Commodity Strategy Saxo Bank
I mercati delle commodity hanno avuto una buona settimana con rendimenti generalizzati su un settore rimasto in crisi da diverso tempo. Il Bloomberg Commodity Index è infatti cresciuto del 2,4% grazie a una buona performance dei metalli (sia preziosi che non).
L’oro ha visto dissolversi il supporto dai mercati esterni con l’affievolirsi delle turbolenze e i forti guadagni sui mercati azionari sia emergenti che sviluppati. Eppure, nonostante i dati sull’occupazione USA, ha raggiunto il massimo annuale tornando ad un trend rialzista grazie all’indebolimento del Dollaro dopo un rimbalzo dai minimi del 20%.
I metalli industriali guidati da zinco e nichel sono cresciuti molto dai minimi di gennaio. L’accelerazione di questa settimana è stata guidata in particolare dal rame e sono forti le speranze che il National People’s Congress cinese del 5 marzo faccia qualche passo avanti per sostenere l’economia del più grande consumatore al mondo di metallo.
Il risveglio del greggio. Il greggio è salito per tre settimane di fila mentre le posizioni corte si sono ridotte mostrando segni di miglioramento grazie al rallentamento della produzione americana, alle interruzioni nelle forniture all’interno dell’Opec, mentre aumentano le aspettative che l’incontro del 20 marzo tra membri Opec e non-Opec  possa portare all’introduzione di un tetto alla produzione.
Il greggio e le altre commodity legate alla crescita quali i metalli, sono in effetti saliti senza il supporto dei dati macro, rimasti deboli: un chiaro promemoria di come i mercati possano cambiare direzione ben prima di un miglioramento delle prospettive economiche.
L’oro sfida la propensione al rischio. Trader e investitori si stanno ancora affollando sull’oro e ogni calo di prezzo è stato visto fino ad ora come un’opportunità di acquisto. I titoli che replicano i prezzi dell’oro hanno ricevuto quest’anno più di 7 mld di $: si tratta della più grande corsa all’oro dall’introduzione a inizio 2009 del Quantitative Easing da parte del FOMC.
Tuttavia, questa concentrazione dei flussi sull’oro non può essere giustificata dalla ricerca di un porto sicuro: il momentum positivo ha infatti riacceso i ricordi della forte salita di inizio decennio e gli investitori, di fronte a rendimenti obbligazionari negativi e ad un Dollaro che ormai non sale più, sono andati alla ricerca di investimenti alternativi, trovandoli nell’oro (e in parte nell’argento), ottenendo più del 20% dal rialzo del 16 dicembre dei tassi d’interesse da parte del FOMC.  L’oro potrebbe anche essere metaforicamente rappresentato come il canarino utilizzato nelle miniere di carbone, che ci avvisa che il miglioramento delle condizioni del mercato non durerà a lungo.
Nel breve termine, non c’è molto da vincere cercando di combattere il trend, specialmente considerando quanto sia stata forte la domanda di oro e la reazione dei prezzi durante l’anno. Dopo aver rotto i 1250$/oz, il prossimo livello chiave da tenere presente sarà il massimo 2015 di 1308$/oz. I supporti sono per ora ben protetti: servirebbe una rottura almeno dell’1225$/oz, o ancora di più dell’1190$/oz per cambiare le prospettive.
Restano dubbi sul greggio. Il greggio continua a salire mentre svanisce il rischio di un altro crollo. Il miglioramento del sentiment ha visto la volatilità calare ai minimi di gennaio, mentre le posizioni corte speculative sono state ridotte.
La produzione USA è nuovamente in calo dopo la caduta delle ultime sei settimane. Un aumento stagionale più forte del previsto delle scorte di greggio rappresenta ancora una sfida, in particolare a Cushing, Oklahoma, fondamentale hub di consegna per i futures sul WTI. I livelli delle scorte sono aumentati di 1,2 mln di barili raggiungendo 66,3 mln, non lontano dalla capacità complessiva (stimata a circa 73 mln di barili).
Nel meeting del 20 marzo tra produttori Opec e non-Opec si tenterà quindi di concordare un tetto alla produzione. Le interruzioni del trasporto di circa 600.000 barili al giorno dalle aree sotto il controllo curdo nel nord dell’Iraq, in combinazione con le interruzioni dalla Nigeria, hanno scatenato un rallentamento che a febbraio ha contribuito a più che compensare l’aumento dei flussi provenienti dall’Iran.
Questi sviluppi hanno contribuito ad allontanare l’attenzione dalla previsione ultra-ribassista di 20 $/b, innescando una riduzione nel record di posizioni net-short sul WTI. Intanto il Brent ha visto le net-long saltare ad un nuovo record lo scorso mese.
Il Brent ha ormai violato la resistenza a 37,40 $/b, il primo livello di ritracciamento del range di ottobre-gennaio. Una chiara rottura aprirebbe la strada per un’estensione verso i 40 $/b, mentre il trend rialzista verrà sfidato soltanto da una rottura al di sotto dei 33 $/b.

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